Sharmin Sultana, nata in Bangladesh 32 anni fa, era piena di vita. Passava il suo tempo a occuparsi dei figli di 7 e 10 anni, e nel tempo libero a guardare i social e fare video su Tik Tok. Ma anche a sognare un lavoro. Un modo per evadere dall'oppressione di un marito, di 12 anni più grande, che invece la voleva reclusa in casa, senza amici, a servirlo. Sharmir è precipitata dal secondo piano della sua casa, nel quartiere di Sestri Ponente a Genova, la mattina del 7 marzo scorso.
Suicidio disse subito il marito. Nove mesi dopo quella tragedia i carabinieri, coordinati dalla procura, hanno scoperto che si è trattato di un femminicidio, l'ennesimo, questa volta svelato dal racconto del bimbo più piccolo e da un disegno fatto mentre veniva ascoltato dagli psicologi. In carcere è finito il marito Ahmed Musthak, 44 anni, operaio connazionale della vittima. Un marito e un padre padrone, secondo l'accusa, che imponeva alla moglie di stare chiusa a casa, di non parlare con nessuno, in pratica di non vivere.
"Papà batte nella testa di mamma ...e poi arriva pieno di sangue ...e poi morta. Mamma in cucina sta male", le parole pronunciate a fatica dal bambino di 10 anni che aveva poi fatto un disegno per spiegare quanto aveva visto. "Poi mamma è caduta". Anche la figlia più piccola ha spiegato agli inquirenti cosa succedeva in quella casa, nonostante il padre le avesse più volte detto di non raccontare nulla ai carabinieri. "Papà si arrabbiava forse perché la mamma guardava troppo il cellulare, usava Tik Tok, era famosa la mamma", le parole dei bimbi.
Una vita diventata tormentata quella di Sharmir. "Mio marito controlla tutto il giorno il mio account - lo sfogo della donna con una amica - quando lui vede qualcuno che manda dei messaggi mi insulta ed è molto geloso. Quindi non mandarmi messaggi in questo momento. Si sta comportando come un cane".
A incastrare il marito geloso sono anche le amiche della vittima. Sono state loro a indirizzare le indagini. Perché Sharmir tutto era tranne che depressa, la sua gioia di vivere era troppo evidente e con nessuno mai aveva parlato di uccidersi. E così dai loro racconti è emerso che c'erano problemi tra i due, che la situazione era peggiorata negli ultimi sei mesi tanto che avevano iniziato a dormire in stanze separate. "Il marito non voleva che lei avesse amici e che frequentasse altre persone, lei aveva iniziato a comunicare tramite social. L'ultima volta che ho sentito Sharmin è stato il 6 marzo via Facebook, mi aveva detto di sentirsi pressata dal marito. Il giorno della sua morte avrebbe avuto un colloquio di lavoro. Era molto entusiasta mentre lui non era d'accordo", racconta un'amica. Sempre le amiche hanno rivelato che da quando si erano trasferiti a Genova, la polizia era intervenuta due o tre volte perché Musthak voleva picchiarla. Anche i vicini hanno svelato i continui litigi.
Quella mattina l'operaio aveva aperto la porta ai vigili del fuoco. Aveva detto di avere sentito la moglie che gli diceva che sarebbe andata a fare una passeggiata. Lui era rimasto in casa perché non si sentiva bene. Una serie di bugie dette sin dall'inizio per depistare gli inquirenti. L'uomo aveva anche cercato di zittire la figlia più piccola. Lo sentono le 'cimici' piazzate in caserma poco prima che la bimba venisse ascoltata. "Tu non raccontare nulla di tua madre - il tono perentorio - quando ti chiedono di tua mamma tu digli che guarda sempre il cellulare e sempre parlare con la gente ...sempre. E a scuola non raccontare niente". Sharmir ci stava provando a realizzare una vita migliore. "Se vuoi essere forte, impara a lottare da sola" aveva scritto sul suo profilo Tik Tok. E forse quella mattina di nove mesi fa ha anche provato a lottare prima di precipitare da una finestra, lanciata giù - secondo l'accusa- dal marito-padrone.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA