"La liquidazione va operata
secondo le tecniche di valutazione probabilistica proprie del
danno permanente" e quindi il risarcimento del danno per la
morte di un invalido va calcolato fino alla data presunta di
durata della vita e non soltanto fino al suo decesso. Lo ha
ribadito la Corte di Cassazione respingendo il ricorso del
ministero della Salute che era stato condannato nei precedenti
due gradi di giudizio a risarcire con 1,3 milioni di euro gli
eredi di un uomo deceduto per cirrosi epatica contratta dopo una
trasfusione di sangue a cui era stato sottoposto negli anni
Settanta. La patologia era stata scoperta dopo il 2000. Il
ministero era stato condannato per l'omesso controllo del sangue
in uso negli ospedali.
Nella sentenza, pubblicata lo scorso 26 aprile, ma resa nota
oggi dai legali dei familiari dell'uomo, l'avvocato Silvio
Vignera ha ribadito, in tema di liquidazione del danno biologico
"iure successionis", il principio secondo cui "l'ammontare del
risarcimento dev'essere parametrato alla durata effettiva della
vita del danneggiato si applica nel solo caso in cui
quest'ultimo sia deceduto per causa non ricollegabile alla
menomazione conseguente all'illecito, mentre, laddove la morte
sia intervenuta" in "conseguenza diretta dell'evento lesivo, la
liquidazione va operata secondo le tecniche di valutazione
probabilistica proprie del danno permanente".
"Il principio - ricorda l'avvocato Vignera - era stato già
enunciato con una pronuncia del 9 novembre del 2022 dalla
Suprema Corte. Se il ministero fosse più scrupoloso
nell'ossequiare i principi resi dalla Corte di Cassazione,
evitando di porre ricorsi e appelli privi di fondamento,
permetterebbe una Giustizia reale più celere ed eviterebbe di
gravare inutilmente sulle spalle dei contribuenti per le
ulteriori spese legali e gli interessi".
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