(di Paolo Petroni)
Nel Teatro Greco di Siracusa
giganteggia questo Edipo a Colono, trasformato dal dolore,
oramai cieco, mendico vestito di stracci, che la regia di Robert
Carsen in alcuni momenti lascia completamente solo in scena, ai
piedi della scalinata su cui è quel verde bosco di allusivi
cipressi, luogo sacro che sente come la sua meta ultima e dove
si ferma aspettando di attraversarlo per andare a morire.
Giuseppe Sartori, appoggiandosi a un bastone, gli dà vita e una
verità che esprime la sofferenza interiore attraverso il corpo,
tutto coinvolto dai piegamenti della testa alle contrazioni
delle dita dei piedi, e modulazioni della voce con echi di una
certa altisonante alterità e assieme di sentita, poetica
umanità: "Quando non sono più nulla, proprio allora sono un
uomo?".
La scena è ancora una scalinata, firmata da Radu Boruzescu,
che rimanda a quella che portava alla reggia di Tebe e sempre
Carsen nel 2022 aveva fatto scendere a un Edipo Re ormai vinto,
maledetto, disfatto. Una scalinata che è di faccia e conclude il
cerchio di quella della cavea del teatro, con Edipo che entra in
scena passando tra gli spettatori, come ad alludere e dare un
senso di teatralità alla sua vita e insieme far apparire che
solo dopo averla messa in scena tutta può morire sereno,
avendola elaborata e interiorizzata con la coscienza di non
poter essere detto colpevole perché del tutto ignaro di quel che
stava facendo (aver ucciso suo padre e poi sposato la madre).
Una fine non più per una violenza o soffrendo, ma in una
dimensione di sacralità, di sublimazione del proprio essere
interiore, che si libera delle spoglie mortali sparendo tra gli
alberi.
È dove dimorano le Eumenidi portatrici di pace, che Carsen fa
apparire tra i cipressi vestite di verde tra sinuosità femminili
o incisiva mimica gestualità, dividendo con loro la parte del
coro che Sofocle aveva riservato solo ai cittadini di Atene. Una
spettacolarizzazione senza eccessi, come anche l'uso
scenografico di crateri di coccio e che versano simbolica acqua,
per un testo che non ne offre quasi possibilità.
'Edipo a Colono' Sofocle lo ha scritto a novant'anni e mette
un'intensità e delicatezza nella sua scoperta di fragilità, nel
suo umano disfarsi, in cui probabilmente riflette la propria e
indaga il mistero, l'inconcepibilità della morte. Accanto a
questa dimensione umana comunque evidenzia anche un discorso
politico. La tragedia andò in scena nel 401 a.C. quando la polis
greca, la grandezza di Atene, con Sparta vincitrice, è vittima
della sua stessa mania e forza del potere, qui rappresentata da
Creonte (Paolo Mazzarelli), vestito di nero come Edipo e come
tutti coloro che arrivano dal suo passato, compreso poi il
figlio Polinice (Simone Severini), che lo rivorrebbe a Tebe solo
perché un oracolo predice che il luogo dove Edipo sarà sepolto
sarà per sempre protetto e invincibile. Al contrario indica
l'alternativa il Re Teseo (Masssimo Nicolini), vestito di bianco
come il coro di tutti gli altri abitanti di Atene, che accoglie
e protegge Edipo in nome della compassione, della giustizia,
dell'ospitalità dello straniero nonostante la fama che si porta
appresso.
Edipo, quasi antesignano del re Lear, con i due figli che non
perdona perché lottano tra loro per il potere, ha anche quasi
sempre in scena con lui due figlie pietose che gli sono accanto
nella miseria della peregrinazione e gli ultimi giorni, in
partecipe dialogo, rese con evidente amorevolezza e inquietudine
interrogativa Antigone da un'intensa, luminosa Fotinì Peluso e
Ismene da una non meno apprensiva Clara Bortolotti.
Una tragedia di dolore e destino, che dall'estremo patire
porta alla liberazione, che è, fatte le inevitabili differenze,
lo stesso percorso di 'Elettra', l'altro testo di Sofocle che si
alterna con 'Edipo a Colono' in questa sessantesima stagione del
Dramma Antico. Una doppia scelta quindi che appare avere un
senso in questo momento di giorni martoriati, di guerre e
sofferenze, metafora di sofferenza e speranza per una presa di
coscienza che il mondo dovrebbe elaborare. E la luna piena che
risplendeva alta sulle pietre antiche del Teatro Greco si spera
fosse di buon augurio nello spingere alla riflessione.
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