(di Giovanni Franco)
"Negli occhi delle persone che
incontri devi trovare te stesso. Il mio obiettivo è quello di
mostrare le luci nascoste dietro il sipario del grande gioco, i
piccoli mondi ignorati dai media e dai profeti di un conflitto
globale". Con questo spirito Monika Bulaj, 55 anni, fotografa,
nata in Polonia, ma che dal 1993 vive in Italia, affronta i suoi
viaggi alla scoperta di popoli e luoghi nelle periferie del
mondo che documenta anche con le immagini. Alcune di queste
fotografie verrano proiettate venerdì 1 aprile alle 21.30,
presso Arci Tavola Tonda ai Cantieri Culturali alla Zisa a
Palermo nel performing reportage "Broken Songlines" al quale
interverrà l'autrice.
Nel Medio Oriente e sul Caucaso, in Asia e nelle Afriche degli
esili, lungo i confini d'Europa, sotto i nostri occhi sta
scomparendo la ricchezza della complessità, in quelle terre dove
per millenni le genti hanno condiviso i santi, i gesti, i
simboli, i miti, i canti, gli dei. I cristiani del Pakistan, i
maestri sufi d'Etiopia e Iran, gli sciamani afghani, gli ultimi
pagani del Hindu Kush e degli Urali, i nomadi tibetani, le sette
gnostiche dei monti Zagros: Bulaj sta costruendo un atlante
delle minoranze a rischio e dei luoghi sacri condivisi, le
ultime oasi d'incontro tra fedi, zone franche assediate dai
fanatismi armati, patrie perdute dei fuggiaschi di oggi, luoghi
dove gli dei parlano spesso la stessa lingua franca, e dove,
dietro ai monoteismi, appaiono segni, presenze, gesti, danze,
sguardi.
"Ho viaggiato tra i confini spirituali, nei crocevia dei regni
dimenticati, dove scintillano le fedi e le tradizioni dei più
deboli ed indifesi, con la loro resistenza fragile ed inerme, la
loro capacità al dialogo e all'incontro. In cammino con i
nomadi, minoranze in fuga, pellegrini, cercando il bello anche
nei luoghi più tremendi. - afferma - La solidarietà nella
guerra. La coabitazione tra fedi laddove si mettono bombe. Le
crepe nella teoria del cosiddetto scontro di civiltà, dove gli
dei sembrano in guerra tra di loro, evocati da presidenti,
terroristi e banditi. Al centro è il corpo. Chiave di volta e
pomo della discordia nelle religioni. Iniziato e benedetto,
svelato e coperto, temuto e represso, protetto e giudicato,
intoccabile e impuro, intrappolato nella violenza che genera
violenza, corpo-reliquia, corpo martire, corpo-trappola,
corpo-bomba".
"Mi piace pensare il corpo come un tempio. Il corpo che contiene
il segreto della memoria collettiva. Il corpo che non mente. Il
sacro passa attraverso il corpo. Lo trafigge. Nell'arcaicità dei
gesti, si legge la saggezza arcana del popolo, la ricerca della
liberazione attraverso l'uso sapiente dei sensi", sottolinea
Bulaj che svolge la sua ricerca sui confini delle fedi,
minoranze etniche e religiose a rischio, popoli nomadi, in
Europa e Asia, in Africa e nei Caraibi. I suoi libri, di
reportage letterario e fotografico, sono stati pubblicati da
Alinari, Skira, Frassinelli, Electa, Bruno Mondadori,
Feltrinelli, Contrasto, National Geographic. Il suo penultimo
libro "Nur. La luce nascosta dell'Afghanistan" è stato scelto da
Time come uno dei migliori libri fotografici del 2013. Nel 2014
ha ricevuto il Premio Nazionale Non-violenza.
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