Un toscanissimo ''Pinocchio'' di Laura Angiulli con le figure archetipe, le geometriche immagini colorate di Mimmo Palladino e l'interpretazione di sua figlia Ginestra Palladino, da una parte, dall'altra ''Fu Lumena'' una rivisitazione della forza e indipendenza della donna napoletana attraverso un'altro archetipo, quello della Filumena Marturano di Eduardo secondo l'omaggio di Salvatore Ronga recitato da Lucianna De Falco e infine il ''David'' travolgente e dolente di e con Joele Anastasi per Vucciria teatro, come gli altri all'aperto, nel cortile di Capodimonte.
Il Napoli Teatro Festival (1-31 luglio) è in pieno svolgimento anche quest'anno difficile perché fortemente voluto comunque e contro tutto dal suo direttore Ruggero Cappuccio e dalla fame di spettacolo dal vivo dei napoletani che hanno esaurito i biglietti di oltre un centinaio di appuntamenti nel giro di una mattinata, appena messi in vendita un mese fa.
Questo ''David'' della compagnia siciliana è uno spettacolo, diciamolo subito, ricchissimo e coinvolgente, concreto e simbolico, sereno e doloroso, aspro e poetico, forte e delicato assieme e in tutto questo, in questa fusione di contrasti è la sua tensione e potenza tutta affidata alla parola e alla fisicità dei quattro attori (lo stesso Anastasi, anche autore e regista, con Federica Carruba, Eugenio Papalia e Enrico Sortino) tra recitazione e movimenti quasi coreografici, musica e rumori in una scena praticamente nuda, salvo alcune quinte-scaffali metallici mobili e una grande vasca-tavolo piena d'acqua.
Detto questo, tanta ricchezza porta questo spettacolo aperto a una molteplicità, diciamo pure un qualche eccesso di contenuti e possibili letture da un più semplice livello realistico a un gioco filosofico, con una certa reiterazione specie nel lungo finale, che meriterebbe di essere asciugato per risultare più incisivo, più teso e sospeso. Certo il tema principale parrebbe quello dell'assenza, che ha sempre una forza maggiore della presenza, ma anche ha rilievo il rapporto tra plasticità (da quella del David di Michelangelo alle pose scultoree del protagonista nella sua nudità integrale - per cui il lavoro è vietato ai minori di 14 anni!) e sangue, tra forma e vita, tragicamente legato all'indifferenza della natura verso sentimenti e legami umani. Così, accanto alla figura della grande madre generatrice e nutrice, c'è l'ossessione per un fratello che non c'è più (morto o forse mai nato), il bisogno di non smettere di credere nell'amore, il riempire il vuoto con ricordi e sogni, specie all'interno di una famiglia che è stata tutta disastrata, inaridita dall'accaduto, ognuno chiuso in se stesso incapace di esplicitare il bisogno di perdonarsi il trauma e ritrovarsi, tranne appunto il protagonista, il fratello rimasto solo, che propone i suoi bisogni e i suoi sentimenti a padre e madre quasi provocatoriamente, come una sfida vitale, in cui si parla anche di ideali (David contro Golia).
Tutto questo però sottende forse una certa ricerca e bisogno di crearsi un'identità attraverso l'altro. E quest'altro potrebbe essere anche un fratello in senso lato (migranti morti in acqua, che torna ed è sempre visibile al centro, più come simbolo di fine - in cui anche si scioglie alla fine la testa del David di gesso - che di vita), o un altro sé, magari alla ricerca di un'identità sessuale (David emblema supremo di bellezza virile). E si potrebbe andare avanti in questo gioco caleidoscopico di letture che si intersecano e sovrappongono. Un gioco che è appunto ricchezza e limite del testo che riesce a vivere comunque nella prepotenza della rappresentazione, in cui si avverte l'eco della ricerca e poetica di Emma Dante, che alla fine strappa così lungi e calorosi applausi e tante chiamate per gli interpreti.
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