'Opera senza autore' di Florian Henckel Von Donnersmarck, in concorso in questa 75/a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, è nello stile dell'autore de Le vite degli altri, un affresco della Germania, ma questa volta attraverso l'arte. E questo dall'avvento del nazismo fino agli anni Settanta. Protagonista del film, in sala in Italia con 01 dal 4 ottobre, un giovane artista, Kurt Barnert (Tom Schilling), un pittore perseguitato dal realismo pittorico, prima, da ragazzino, nella Germania nazista che sosteneva la cosiddetta 'classicità renana' contro ogni arte degenerata e poi, durante la Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est), dove diventa un apprezzato pittore di realismo socialista, uno stile pittorico che lui detesta.
Quando incontra la studentessa Elisabeth (Paula Beer) e riesce a fuggire ad Ovest, è convinto di aver incontrato non solo l'amore della sua vita, ma anche di poter finalmente realizzare i dipinti in piena libertà. Ma nella storia del film, che dura 188 minuti, è centrale anche il ruolo del suocero di Kurt, il professor Seeband (Sebastian koch), che disapprova la scelta della figlia Elisabeth, ma che si rivelerà anni prima autore di un crimine che ha colpito direttamente l'odiato genero artista.
"Non scelgo una storia - dice il regista al Lido, parlando in perfetto italiano -: sono le storie a scegliere me e io mi sono innamorato di questa esplorazione della creatività umana che rende possibile ad ogni artista di prendere le proprie ferite e trasformarle in arte. Nel caso del mio protagonista ci riesce solo quando riesce a fuggire nella Germania Ovest. Credo ovviamente nell'arte libera - aggiunge - ma quando un sistema politico decide cosa deve essere l'arte questa ovviamente è già perduta".
Nella fuga del protagonista a Düsseldorf, nelle scuole d'arte piene allora di una modernità a volte molto velleitaria, non manca l'occhio ironico del regista e sceneggiatore tedesco, vincitore nel 2007 dell'Oscar: "L'arte dei nazisti e dei comunisti di allora si incentrava sull'artigianalità oltre che sul messaggio politico. Nel dopoguerra nella Germania Occidentale - dice - per fuggire da quelle tradizioni si fece un po' di tutto, comunque senza alcuna artigianalità, e molte di quelle cose avevano davvero poco senso". E' polemica, infine, quando Florian Henckel Von Donnersmarck replica a una giornalista tedesca che gli fa una domanda provocatoria, sottolineando che il regista ha mostrato ancora una volta le camere a gas nei campi di sterminio e per giunta con il sottofondo delle musiche di Handel: "La mia opinione è che bisogna guardare in faccia le cose anche se sono dolorose. E poi - dice con toni duri rivolto alla giornalista - io non mostravo le camere a gas che si vedono sempre, ma quell'olocausto poco conosciuto che vedeva vittime persone colpevoli solo di essere disabili. E questo è molto diverso".
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