Un quartetto di uomini con un disperato bisogno di soldi, che decidono di diventare gigolo da strada. È la base per le avventure di Uomini da marciapiede, la commedia di Francesco Albanese, anche coprotagonista con Paolo Ruffini, Herbert Ballerina, Clementino, in un cast che comprende Rocio Munoz Morales, Francesco Pannofino e Serena Grandi, in arrivo dal 7 settembre in sala distribuita da Altre Storie con Minerva Pictures.
"Siamo partiti da una nota vera di cronaca - spiega all'ANSA Ruffini che è anche cosceneggiatore -. Cioè che le mogli durante le partite di calcio tradiscono molto di più, perché evidentemente sono meno attenzionate. Noi abbiamo ricalcato in modo pedissequo questo dato e abbiamo tratto un film su un gruppo di sbandati che si accorgono di questa ovvietà. E cioè che mentre gli uomini si vedono la partita, le signore sono in giro e hanno voglia di divertirsi".
La storia (producono Genesis e Run Film con Rai Cinema) parte dai debiti di gioco di Gabriele (Albanese) con un boss malavitoso soprannominato Polifemo (Yari Gagliucci). L'unico modo per salvarsi è cedere al criminale l'agriturismo del fratello Gennaro (Ruffini), con cui ha poco in comune. Senza casa e senza soldi, i due fratelli, insieme all'ex impiegato poco sveglio di Gennaro, Oscar (Ballerina) e a un compaesano con un 'piccolo' problema, Paco (Clementino), si ritrovano a decidere di mettere su una piccola attività di gigolo, approfittando dell'alta domanda da parte delle donne (che nell'immaginario degli autori si muovono in auto chiedendo agli uomini in strada 'quanto vuoi?') durante i mondiali di calcio.
L'impresa parte subito bene, ma non mancheranno le conseguenze inaspettate.
"È tutto un po' all'acqua di rose - precisa Ruffini che a luglio era tornato in sala anche come regista con Rido perché ti amo -. È un film per tutti, non c'è niente di volgare o sopra le righe. Credo sia un tentativo di creare una nuova commedia family nonostante i temi". Poi "si parla tanto di rovesciare i temi e i punti di vista e ci siamo divertiti a rendere l'uomo preda, per una volta". Dietro c'è anche un aspetto: "gli uomini protagonisti fanno il mestiere più antico del mondo non perché hanno particolari doti, ma ognuno con la sua fragilità e normalità". Oggi "siamo pieni di reality che sono poco reali. La normalità vera è difficile vederla in giro, siamo tutti filtrati, instagrammabili e pronti per tiktok. Forse la normalità è l'ascolto, Questi, nel loro delirio, sono quattro uomini che ascoltano".
In estate l'attore si è molto dedicato alle serate dal vivo e al teatro: "Non so se tra cento anni ci sarà ancora tiktok, ma sicuramente ci sarà il teatro. Ci tornerò anche a gennaio con un adattamento dal film Quasi amici e sarò in scena con Massimo Ghini e poi riprenderò Up /Down, il progetto che faccio con persone che hanno la sindrome di Down. Poi sto preparando un nuovo film da regista". Il cinema "come esercizio si è ripreso, se guardiamo a Barbie o Oppenheimer, ma non in termini generali soprattutto per i film italiani. Questo perché gli spettatori hanno avuto molte 'sòle'. Ci sono tanti film simili, con gli stessi attori". È "un problema strutturale e di fiducia che bisogna riconquistare. Poi con le piattaforme è cambiata la forma mentis del pubblico". Ruffini vede tra i problemi principali anche "l'iniezione di politicamente corretto che ci siamo fatti. Io l'abbino al fascismo, quando i film erano 'corretti', perché c'era un dittatore che dettava cosa dire e non dire. Ora invece cosa dire o non dire lo decidono gli utenti sui social network. La comicità ne soffre, non si sa più su chi fare satira".
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