"In Adagio, terzo film che faccio con Sollima, sono come un insetto in fuga, una blatta che esce dall'angolo insieme ad altri criminali in una Roma circondata dalle fiamme". Così Pierfrancesco Favino parla del film,una crime story già in concorso a Venezia e in uscita natalizia (il 14 dicembre con Vision Distribution) atipica per un film di genere.
Chi è esattamente Favino in Adagio? Interpreta il Cammello "una figura non di spicco nel mondo criminale, un cosiddetto 'cavallo' che è uscito di galera perché malato e con poco futuro davanti" spiega l'attore che recita completamente calvo e con venti chili in meno. E ancora l'attore: "Questa Roma è una sorta di Gotham City, circondata da fiamme e fumo, dove ognuno vive in un mondo immaginario e ogni personaggio è anche un po' un fumetto". Una capitale a cui ogni tanto manca anche la luce, aggiungendo caos a caos. In questo scenario finis mundi si agitano personaggi caricaturali, spettrali, da fumetto Sin City, che Sollima mette in campo rispolverando anche il mito della Banda della Magliana. E questo attraverso tre personaggi principali: oltre Favino, c'è Valerio Mastandrea cieco nei panni di Polniuman e Toni Servillo, a corrente alternata in quanto a lucidità, che interpreta Daytona. Ed è proprio da questo stagionato criminale che parte tutto, o meglio dal figlio di sedici anni, Manuel (l'ottimo esordiente Gianmarco Franchini), che si mette in un grosso guaio. Gli viene chiesto di scattare alcune foto a un misterioso individuo durante un mega party, ma Manuel capisce subito che c'è qualcosa di molto grosso dietro e decide così di darsi alla fuga. Sulle sue tracce si mettono persone che non scherzano, brutti ceffi capeggiati da Vasco (Adriano Giannini) un poliziotto deviato molto balordo che vuole il ragazzo morto. Ad aiutarlo sarà proprio il padre e i suoi amici di banda, ma riusciranno questi vecchi criminali a proteggerlo? "Le fiamme che circondano Roma si avvertono nei personaggi, si può dire che sono un'emozione condivisa - ribadisce Favino -. E poi va detto che è bello che questi insetti, queste blatte vengono allo scoperto per salvare un ragazzo. In questo senso il film di Stefano Sollima è del tutto perché non sempre le colpe dei padri ricascano necessariamente sui figli". Spiega poi Sollima il perché delle fiamme che circondano Roma: "È ovviamente una metafora che avrebbe messo pressione a tutto il racconto e questo vale anche di più per i continui blackout. Comunque la Roma che racconto non è certo quella monumentale, ma casomai quella più sconosciuta della tangenziale. Avevo comunque una voglia pazza di tornare a lavorare con vecchi criminali in cerca di redenzione, una voglia disperata di fare un atto d'amore verso Roma". Il film scritto insieme a Stefano Bises è l'ultimo capitolo della trilogia criminale romana di Sollima iniziata, con A.C.A.B nel 2012 e proseguita poi con Suburra nel 2015
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