(di Patrizia Sessa)
CORRADO DE ROSA, 'QUANDO ERAVAMO
FELICI ITALIA - ARGENTINA 1990: LA PARTITA DA CUI TUTTO FINISCE'
(MINIMUM FAX, pp. 292 - 17,00 euro)
C'è un giorno esatto in cui l'Italia ha smesso di essere
felice. C'è un giorno in cui le speranze, le aspettative, i
sogni degli italiani sono scomparsi. Pochi minuti, una partita,
una sconfitta e l'Italia si è girata dall'altra parte. Quella
parte in cui dei sogni non era rimasta che l'ombra. Corrado De
Rosa nel suo 'Quando eravamo felici. Italia-Argentina 1990: la
partita da cui tutto finisce', inizia da qui, da quel 3 luglio
1990 per raccontare l'Italia di allora ma, forse soprattutto,
l'Italia che sarebbe arrivata dopo.
Quel giorno, quel 3 luglio, allo stadio San Paolo di Napoli,
c'era l'Italia cresciuta con l'ottimismo degli anni Ottanta.
Anni in cui ci si era convinti che tutto poteva accadere. Anche
vincere la semifinale dei mondiali contro l'Argentina, che
teneva stretta in mano la coppa di vincitrice, anche contro
Maradona che, quella sera, fu meno eroe e più carnefice.
Corrado De Rosa, scrittore, psichiatra, parla di calcio, nel
suo libro, ma utilizza il calcio per parlare degli italiani e
dell'Italia intera: "Chi si guarda indietro, la sera di
Italia-Argentina, vede anni di potere e ingordigia. Anni in cui
l'avere aveva superato l'essere, in cui la sconfitta non era
contemplata e in cui, allo stesso tempo, si coltivava un
sentimento ambiguo, fatto di fiducia in se stessi e orizzonti
ansiogeni". Ed invece quella sconfitta arrivò, ai rigori.
L'idea di scrivere 'Quando eravamo felici', a De Rosa, che in
passato si è occupato di camorra, infiltrazioni mafiose ed
eversione, è venuta durante il Covid. "Uno dei temi che
attraversa il libro è quello della frustrazione - racconta
all'ANSA - Il Covid è stato un momento di estrema frustrazione
sociale, perché l'uomo si è reso conto, ancora una volta, di non
poter controllare tutto. Nel decennio degli anni ottanta che
arriva al mondiale italiano, la percezione è che l'asticella si
potesse spostare sempre più in là ed invece quella partita ti da
l'idea che i predestinati che credono di vincere i mondiali a
casa loro poi la perdono". C'è frustrazione anche qui. Si tratta
una frustrazione diversa, ma c'è. E c'è anche nostalgia. "Noi
eravamo nel pieno di questa cavalcata fantastica che si sarebbe
rivelata un capitombolo - dice De Rosa - però a guardare bene
quel tempo, tutto quello che sarebbe successo in Italia c'era
già. Nel senso che è vero che il pil cresceva, ma è vero anche
che crescevano i disoccupati e il debito pubblico. Berlusconi
aveva già abbattuto il muro fra pubblico e privato, aveva già
comprato Mondadori, aveva già vinto con il Milan. C'era Bossi,
le Leghe erano già diventate un tema caldissimo. Qui vicino, a
Castel Volturno, avevano già ammazzato Jerry Maslo, quindi tutta
la complessità dell'immigrazione era già un argomento al centro
dell'agenda politica. Anche le opere pubbliche malfatte c'erano
già, gli stadi che si sarebbero rivelati delle cattedrali nel
deserto, gli ecomostri da abbattere".
Il punto, che è poi l'anima del libro, è tutto qui: era ben
chiaro cosa sarebbe accaduto in Italia, la fine della prima
Repubblica, la crisi economica, Tangentopoli, la questione
migranti, il paese diviso, la crisi delle istituzioni. Ma non
c'erano gli occhi per guardare. O meglio non si aveva alcuna
voglia di guardare. "L'Italia dà il meglio di sé quando sembra
in ginocchio, sa trionfare quando è piegata dalla storia, quando
è affamata. Sa difendersi con rabbia di popolo, in mezzo alla
polvere, controvento. Invece è arrivata a giocarsi la semifinale
con il vento a favore e la pancia pienissima", scrive De Rosa.
Un libro, il suo, che in fondo serve a questo: a girarti
indietro e a capire cosa l'Italia era e cosa l'Italia ha perso,
per sempre.
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