(di Maria Grazia Marilotti)
SILVIA SANNA, "GRAZIA DELEDDA. IL
CUORE SCALZO"(MORELLINI, PP 160, EURO, 18 ) A ogni curva il
paesaggio muta e non solo quello geografico. Tra il riaffiorare
di ricordi, immagini oniriche, emozioni, in un ideale viaggio
tra passato, presente e futuro, scorre come attraverso il
finestrino del treno diretto a Stoccolma la vita di una
scrittrice che dal cuore della Sardegna ha conquistato la
ribalta internazionale.
A tavola, davanti a un piatto fumante di macarrones de busa
"Scoprimmo …da un dispaccio con timbro di Svezia, che davvero
io, Grazia Deledda, avevo vinto il premio Nobel. La prima
scrittrice sarda, la prima italiana". E' un passaggio da "Grazia
Deledda. Il cuore scalzo" della scrittrice sassarese Silvia
Sanna, dal 26 gennaio in libreria per le edizioni Morellini, con
tanto di dedica a Massimo Calabrò "amore della maestra" e a
Michela Murgia "maestra dell'anima". In un omaggio alla grande
scrittrice nuorese l'autrice si concentra sugli episodi legati
al prestigioso riconoscimento, l'arrivo "dopo tre giorni di mare
e terra" nella città sul Baltico, accolti dai "colori delle
fioriture invernali di Svezia", la cerimonia, la prima
intervista.
In quel dialogo con il giornalista siciliano Tano Balestri,
risuona la voce di Grazia Deledda, attaverso citazioni e
rimandi, note autobiografiche, battute scherzose e piacevoli
aneddoti: Silvia Sanna capovolge la prospettiva per assegnare
all'autrice di "Canne al vento" il ruolo di io narrante. Una
sorta di diario privato tra atmosfere familiari e obblighi
mondani, cui l'artista tende a sottrarsi, e la lunga
conversazione con il cronista, che tocca temi e momenti cruciali
dell'esistenza della scrittrice. Prendono forma trame
fantastiche attinte dai suoi romanzi, ricordi familiari, "una
giovinezza in un ambiente dove restavano in piedi i pregiudizi
di una cultura patriarcale", mette in luce Silvia Sanna. Ancora
la passione per la scrittura emerge in tutta la sua intensità
assieme alla granitica determinazione e la chiarezza di come
desiderava disegnare il suo destino.
A fare da sfondo, i paesaggi della Barbagia coi silenzi e
"con le sue montagne innevate", "i confini di pascolo dove la
collina divide le anime dei pastori da quelle dei contadini".
Poi Nuoro, la città che "amo soprattutto ….come anche i paesi
attorno, Orune, Bitti, Fonni, Lollove, Galtellì, Dorgali,
Mamoiada, Lula, Oliena, Gavoi, Ovodda, pezzi di cuore che
fremono". Il profumo del cedro del Libano delle giornate romane,
nella capitale dove si era trasferita, "da sempre la meta
agognata". Una vita di difficoltà, sfide, ricompense, tra
critici non benevoli e grandi ammiratori del suo talento, il
forte legame con la sua terra, la sua ironia e senso
dell'umorismo, il suo essere una donna evoluta, "l'urgenza di
dare nuova vita alle storie", di "farle danzare con la fantasia
e il colore della mia voce" e la gioia nel constatare che "le
mie parole avevano trovato un'eco nei cuori dei lettori e delle
lettrici". Poi la svolta, verso la fine dell'intervista si
compie come una sorta di transfert. La sua biografia e quella
del giornalista si intrecciano, e nel dolore, per un istante, si
giunge quasi a una comunione d'anime.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA