Romagna mia rompe il silenzio di Za'atari, in Giordania al confine con la Siria dove 80mila rifugiati sono avvolti nel buio ma nel campo di calcio poche centinaia di loro assistono al concerto evento de Le vie dell'amicizia del Ravenna festival. Sul palco un gruppo di ragazzi del campo che suona musiche tradizionali arabe con le voci degli artisti siriani Mirna Kassis e Francois Razek-Bitar, si alternano con un quintetto di ottoni dell'orchestra giovanile Luigi Cherubini, che suonano anche Volare e Azzurro, tra l'entusiasmo generale e in prima fila il maestro Riccardo Muti che alla fine donerà degli strumenti ai musicisti. "Perché la musica - dice Muti - dimostra la sua capacita di unire e di parlare direttamente al cuore oltre ogni barriera".
Sono ragazzi che, ci raccontano, hanno imparato a suonare su Youtube chi la chitarra chi il violino e ora che hanno finito di studiare e non hanno i soldi per l'università "perché è troppo cara" sognano di fare della musica il modo per uscire da lì.
Sorridono tutti, le donne da una parte gli uomini dall'altra così come si svolge sempre la loro vita quasi irreale che è soprattutto un sogno: portare le loro esistenze fuori di li.
"Questo è solo un posto sicuro" dice uno di loro, dove "passiamo la vita praticamente senza fare nulla", dice un'altra mentre oltre la rete del campo di calcio adibito a sala concerto con le sedie oro e velluto rosso, passano i mezzi di fortuna che girano per le vie del campo - biciclette, risciò da vecchie poltrone, piccoli carri costruiti col legno e tirati dall'asinello - in una festa insolita perché qui si "chiude" alle quattro del pomeriggio e per questo ai giornalisti non è concesso oggi di vedere altro. In realtà intorno c'è un muro decorato si dai murales ma sopra con il filo spinato e oltre un deserto roccioso con qualche edificio basso. Dentro si scorgono case di lamiera, tende, edifici prefabbricati. Tutto rigorosamente bianco come i palazzi eleganti di Amman che è ad un'ora e mezza di macchina ma sembra lontanissima. Vengono tutti dalla Siria e la metà hanno meno di 18 anni, in 23mila sono nati qui dove ora non entra più nessuno - ci dicono - e ai bambini se glielo chiedi si definiscono giordani. Ci sono le due sorelle che stanno qui da 12 anni , sono venute con la madre che poi è morta. Per loro come per le altre donne sole la vita è difficile, hanno paura perché si sentono indifese e non hanno grandi possibilità di movimento. C'è la madre vedova con la figlia di 16 anni che studia arte, ognuno ha una storia da raccontare. "Siamo felici solo di avervi visto" dicono ai giornalisti italiani e qualcuno ha il coraggio di arrivare a chiedere "portami via". Lasciano la mail e l'account perché la loro vita sociale è soprattutto social anche lì a Za'atari dove pure ci sono scuole, ospedali e persino un mercato che si chiama Champ elysee ed è dove vanno a scambiare il frutto del loro lavoro, tra le mura, sognando l'Europa, l'America, il Canada.
Anche l'Italia che conoscono dai film come un sogno. "Di quello che è fuori di qui - dice ancora il maestro Muti - hanno questa idea edulcorata, irreale, vedono la parte migliore. Come fosse solo un mondo felice. Piuttosto che accogliere soltanto aprendo le braccia, sarebbe bene dargli la possibilità di avere veramente una vita. Come dico spesso, i governanti hanno in comune la sordità con Beethoven ". E alla fine in suo omaggio si forma un tondo che, trascinati nella danza dagli anziani del villaggio, unisce tutti in un cerchio magico di speranza.
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