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Marco Filiberti, 'L'arte salva, necessarie voci come la mia'

Marco Filiberti, 'L'arte salva, necessarie voci come la mia'

Applausi al regista in teatro a Siena con 'Intorno a Don Carlos'

SIENA, 30 marzo 2025, 18:15

(di Luciano Fioramonti)

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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''In un tempo apocalittico come il nostro credo che voci come la mia siano fondamentalmente necessarie. Se poi arriva a dieci, cento o a mille persone è un aspetto che non dipende da me. Un segno di questa caparbietà è portarla avanti a dispetto di uno scenario del sistema cultura/spettacolo che va in direzione opposta''. Marco Filiberti riflette sulla sua idea di teatro dopo il successo delle due recite di 'Intorno a don Carlos: prove d'autenticità'', potente lavoro incentrato sulla parola e sul corpo messo in scena nei giorni scorsi a Siena al Teatro dei Rozzi. Il regista e drammaturgo milanese, trapiantato da anni in Val d' Orcia, ha riproposto il suo testo del 2017 ispirato al capolavoro di Friedrich Schiller sul potere, gli amori e l' amicizia, sfrondato da ogni elemento scenografico per affidarsi totalmente alla capacità dei cinque attori di rendere palpabili le 'solitudini a confronto' dei personaggi. Un kammerspiel che richiede impegno e attenzione allo spettatore, teatro da camera raffinato di dialoghi serrati e movimenti coreografici, un 'recitar danzando'' di sentimenti tra buio e squarci di luce e colori che richiamano Rembrandt. Lunghi applausi sono andati a tutti i protagonisti, Pietro Bovi, Diletta Maselli, Luca Tatangeli, Massimo Odierna e Giacomo Mattia. ''Non ho mai creduto in un arte meramente di intrattenimento o che deresponsabilizzi i fruitori - spiega all' ANSA - . Il senso di responsabilità è diverso tra l' artista e gli spettatori ma ridotta solo a strumento di intrattenimento per me svilisce ontologicamente il suo mandato. Deve rigenerare l' umanità, essere uno strumento di salvezza come credevano Schiller, Goethe, Holderlin, Novalis, espressione della visione laica e spirituale del Romanticismo, l' ultima grande manifestazione antropoculturale dell' Occidente''.
    Intorno a Don Carlos è nata dopo una lunga riflessione sul declino e il tracollo culturale dell' Occidente. ''Venivo da una esperienza teatrale enorme - ricorda Filiberti - , la trilogia del Teatro delle Muse conclusa con lo spettacolo il Crepuscolo d' Arcadia, la messa in scena della nostra Apocalisse ma anche la follia più grande della mia vita''. Un lavoro di quattro ore con 18 attori sul palcoscenico, che invadeva tutto lo spazio teatrale. ''Dopo questa prova avevo bisogno di un kammerspiel, di tornare a dialogare con pochi personaggi in una sfera profondamente intima come avviene nel Don Carlos''. Perchè i suoi spettacoli vengono rappresentati raramente? ''Non ho mai avuto problemi con il pubblico o a critica ma con il sistema spettacolo. Per portare gli attori a questi risultati serve un tempo di prova quadruplo e già questo si traduce in costi. Gli allestimenti in genere devono essere montati in un giorno e mezzo e smontati in un giorno. Per spostare uno spettacolo da un teatro all' altro hai bisogno almeno di cinque giorni di disponibilità della sala. Per questo i miei lavori sono destinati ad essere proposti come eventi speciali o all' interno di Festival''.
    Filiberti nei prossimi mesi riprenderà i Cahiers d' écriture proustiani, prima parte di un progetto più vasto dedicato alla Récherche, che avranno una prima tappa in giugno a Padova. ''Sto anche lavorando alla costruzione del mio nuovo film ambientato nell' alta borghesia torinese e milanese degli anni Settanta e devo terminare il mio primo romanzo intitolato Canto d' estate''. Intorno a Don Carlos, prodotto dalla sua associazione culturale Le vie del Teatro in Terra di Siena, tornerà in scena con tutta probabilità la prossima stagione. Il regista dice di aver sperimentato gli stessi conflitti tra autenticità e storia della vicenda schilleriana. ''Tutto quello che ha cercato di imbavagliarmi nella vita sicuramente è presente nelle relazioni eversive di quest' opera: avere un binario stretto con un cuore grande è una dialettica con la quale ho dovuto avere a che fare.
    Schiller, in cui convergono idealismo e una istanza di spiritualità, vedeva l' uomo per quello che avrebbe potuto essere e non è stato e riassume il senso del mio essere artista in un contesto storico come questo. Non importano i fallimenti e i successi, c' è qualcosa che è più forte''.
   
   

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