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(di Paolo Petroni)
ERNESTO FERRERO, ''ITALO'' (EINAUDI,
pp. 224 - 19,00 euro) - Agilulfo, 'Il cavaliere inesistente',
''è un autoritratto'' di Italo Calvino, scrive Ernesto Ferrero,
''che tende a farsi vedre il meno possibile'' e scomparire nella
scrittura, in cui vive ''l'unica vita che davvero conta''. Così
oltre venti anni dopo, ecco che è ''impossibile distinguere
Italo dal signor Palomar'', e spiega che lo scrittore ''non può
vivere senza problemi da risolvere'' e vorrebbe diventare solo
''una finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo''
eliminando ''quella macchia di inquietudine che è la nostra
presenza''. E' lo stesso Calvino del resto a dire ''non
troverete nulla'', rivolgendosi a chi in futuro avesse voluto
indagare su di lui. Ed è proprio la sfida che accetta Ferrero,
che fu suo amico e lavorò con lui alla Einaudi, scrivendone
questa biografia attraverso i libri per celebrarne i cento anni
dalla nascita il 15 ottobre 1923, indagando dati famigliari,
amori (da quello complcato con l'atrice Alba De Cespedes a
l'incontro fulminante con Chichita che divenne sua moglie),
fatti di lavoro, di impegno politico, ma soprattutto quelle
storie in cui ha cercato di sparire.
Si potrebbe legare a tale cercar di vivere solo in
trasparenza della propria scrittura quella sua idea di
leggerezza, tema della più celebre delle sue 'Lezoni americane',
quasi ormai uni suo marchio, ma sin dall'uscita postuma di quei
testi, Calvinò morì il 19 settembre 1985, ci fu, come Alberto
Arbasino, chi scrisse: ''Calvino non era affatto leggero. Era
molto serio, laborioso, parsimonioso,industrioso, assorto,
concentrato, moderato, indaffararto, calcolatore, misurartore,
come tutti i migliori liguri''.
Detto questo, bisogna però ricordare come Calvino fosse uno
scrittore sempre attento al suo lavoro, sul quale rifletteva di
continuo, come testimoniano le tante citazioni che Ferrero fa da
suoi saggi, interviste, note, che, è stato scritto, formano una
sorta di autobiografia senza Io, che è in realtà in tutti i suoi
personaggi, dal 'Visconte dimezzato' al multiforme Qfwfq delle
'Cosmicomiche' e sino a 'Palomar'. ''Un prisma rotante'' che non
consente''una visione completa e stabilizzata'', come scrive
MARIO BARENGHI in ''ITALO CALVINO'' (IL MULINO, pp. 160 - 14,00
euro) appena riproposto in edicola dal Corriere della sera.
E' quel che Ferrero ci fa ben capire, alla fine
raccontandoci la persona, inscindibile dallo scrittore e la sua
evoluzione, da quando scrive ''La vita è triste e senza senso'',
dopo il rifiuto di Einaudi di pubblicare i suoi primi racconti,
con Pavese che lo definisce ''scoiattolo della penna'', sino a
quando, come Palomar, ''ha sempre fatto in modo di non
incontrarsi con se stesso faccia a faccia'' sentendo che
''invece di inoltrarsi nelle galassie, di ridurre il mondo a
geometrie stilizzate, avrebbe dovuto lavorare alla propria pace
interiore. Una pace impossibile... sterile, improduttiva per uno
scrittore che si è sentito vivo solo nelle opposizioni. Italo è
l'uomo del moto perpetuo che corre sempre davanti a tutti e
antivede quello che gli altri non riscono nemmeno a
immaginare''. Anche sul piano pratico, come quando viene
affascinato dai primi computer durante un viaggio in America nel
1959 o quando intuirà che un giorno ci sarà una macchina capace
di scrivere da sola, come fa oggi l'Ia.
Una vita che si svolge principalmente tra Torino, dove ha
sede l'Einaudi con i vecchi amici, e poi, dal 1967 al 1980,
Parigi, città enciclopedica che gli è congeniale, come nota
Ferrero. Luogo di grande vivacità intellettuale, come ce la
racconta con sguardo analitico e sintesi panoramica FABIO
GAMBARO in ''LO SCOIATTOLO SULLA SENNA'' (FELTRINELLI, pp. 170 -
18,00 euro) mettendo in rilievo i fatti, a cominciare dal '68, e
le persone che frequenta e che gli aprono nuove possiblità di
pensiero e creative, come deduce dalle novità dei tre romanzi
scritti in quegli anni: 'Le città invisibili', 'Il castello dei
destini incrociati' e 'Se una notte d'inverno un viaggiatore'.
Essenziale è la frequentazione del gruppo dell' Oulipo, con la
sua vena creativa, ironica, provocatoria ma rigorosamente
formale, da Queneau a Perec, ma poi Barthes, Lacan e Levi
Strauss e lo strutturalismo, e scrittori di ogni tipo, da
Robbe-Grillet a Cortazar sino a Kundera, simile a lui per molti
versi, che Ferrero annota, ricordando che però i due a cena non
riuscirono a scambiarsi nemmeno una parola, nell'imbarazzo
generale e di Chichita.
Uomo silenzioso infatti, che si cela nel vuoto creato da
quei contrasti e contrapposizioni su cui ha sempre lavorato,
come dimostrano i suoi romanzi e certifica un suo appunto in cui
si legge: ''1- stile come modello universale vs stile come
singolarità individuale; 2- il Tutto vs Parte; 3- gli Altri vs
Io; 4- disordine vs ordine; 5- Mercurio vs Vulcano; 6- compatto
vs fluido.'' E poi una lucida, pardossale coscienza di chi è di
un disincantato pessimismo bilanciato da una vena umoristica e
sostiene che ''L'arte di scrivere storie sta ne saper tirar
fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto;
ma finita la pagina si riprende la vita e ci si accorge che quel
che si sapeva è proprio un nulla''.
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