"I team dei soccorritori sono riusciti ad arrivare a Mandalay, la zona più colpita dal sisma del Myanmar. Le difficoltà delle prime ore sono state causate dall'interruzione delle comunicazioni, non solo telefono e internet ma anche quelle fisiche, con i ponti crollati e le strade inagibili. Ora è cominciata la verifica dei bisogni, per poi lanciare operazioni di risposta di primissima emergenza.
Tutto questo mentre ancora si scava a mani nude per salvare vite umane". A parlare della situazione in queste ore in Myanmar è Giuseppe Pedron, responsabile dei progetti in Asia per Caritas Italiana.
"Presto si porrà il problema delle abitazioni perché la maggior parte sono andate distrutte, almeno nella zona dell'epicentro, e serviranno dei rifugi semipermanenti. Non vanno bene le tendopoli - spiega Pedron - perché in quella zona sono in arrivo anche i monsoni, tra giugno e luglio". Una emergenza, dunque, nell'emergenza, per un Paese da anni anche piegato dalla guerra civile.
"E' difficile fare previsioni puntuali ma per una ricostruzione, non solo fisica ma anche del tessuto sociale, saranno necessari non meno di cinque anni", afferma l'operatore Caritas. "Un terremoto di questa portata crea danni alla sanità e sarà difficile curare le persone, all'istruzione con le scuole distrutte e gli insegnanti morti, danni al lavoro di tutti perché ci saranno conseguenze in tutti i settori, dall'agricoltura alla pesca, dal commercio a tutte le altre attività". Per questo "non finisce tutto in pochi giorni e sarà necessario un accompagnamento di lungo periodo".
Tra i più fragili in questa situazione ci sono, come sempre, i bambini, "senza scuola, spesso senza i genitori o senza uno di loro". Per questo una delle prime azioni delle ong, in questo tipo di catastrofi, è "mettere in piedi scuole da campo in modo che i ragazzi non perdano troppi giorni di scuola ma soprattutto per riprendere una vita per quanto possibile normale".
Quanto ai traumi che segneranno le persone, Pedron, una lunga esperienza in Asia, spiega che è "una popolazione resiliente, alle prese da anni con una guerra civile, con una situazione di costante disagio sotto tanti profili e con le disparità economiche e sociali che sono cresciute nel tempo. Hanno una modalità di risposta agli eventi traumatici basata sul senso di comunità e sulla famiglia. Non dobbiamo automaticamente pensare alla stessa situazione di disagio che ci aspetteremmo nel nostro mondo occidentale. Quindi l'importante sarà, per tutti coloro che vorranno aiutare questa gente, non arrivare con le proprie etichette pensando di risolvere chissà che cosa ma stare al fianco delle popolazioni e lavorare in stretta collaborazione con i partner locali".
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