Il dialogo, definito "positivo e costruttivo" sia dagli Stati Uniti che dall'Iran, ha avuto un primo risultato nella decisione delle parti di tornare a parlarsi. E lo faranno sabato 19 aprile, a una settimana di distanza dall'incontro in Oman, ma stavolta a Roma. La notizia dello sbarco in Italia dei colloqui sul nucleare iraniano, circolata prima sui media americani, è stata confermata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani che da Osaka ha spiegato come il governo abbia accettato la richiesta "delle parti interessate" e "dell'Oman che svolge il ruolo di mediatore".
"Siamo pronti ad accogliere, come sempre, incontri che possono essere portatori di risultati positivi, in questo caso sulla questione nucleare - ha aggiunto il vicepremier -. Roma si conferma capitale di pace e di mediazione".
"Risolverò il problema" dell'Iran, "è abbasta facile", ha assicurato Donald Trump, tornando a minacciare azioni "dure" contro la Repubblica islamica se la diplomazia dovesse fallire. Le trattative si concentrano da una parte sul possibile uso militare del nucleare iraniano che Washington vuole arginare, e dall'altra sulla revoca delle sanzioni imposte agli ayatollah. Ma Teheran non si fida e rimprovera a Trump di essere uscito per primo dall'accordo raggiunto nel 2015 anche con Russia, Cina e alcuni Paesi europei. A Muscat "abbiamo cercato di gettare le basi dei colloqui, perché non abbiamo la necessaria fiducia negli americani. Nel prossimo round, definiremo il quadro dei negoziati sul programma nucleare iraniano e continueremo fase per fase. Gli americani dovrebbero fornire garanzie sulla revoca delle sanzioni", ha spiegato il caponegoziatore iraniano Majid Takht-Ravanchi.
"L'Iran non accetterà il linguaggio della forza e, se minacciato, reagirà", ha aggiunto. Proprio per questo "approccio contraddittorio" tra ricerca del dialogo e minacce, Teheran insiste che, come in Oman, anche i colloqui di Roma avvengano in modo "indiretto", con i partecipanti seduti in stanze separate e i mediatori che fanno la spola tra l'una e l'altra. Tuttavia a Muscat, dopo due ore di "proximity talks", c'è stato anche un primo incontro diretto tra l'inviato di Trump, Stefe Witkoff, e il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi. Prima di sabato, inoltre, il capo della diplomazia di Teheran si recherà a Mosca per consultazioni preventive, sebbene "già previste", con il collega russo Serghei Lavrov, dedicate proprio agli incontri romani. L'agenda internazionale in quei giorni ruoterà del resto attorno alla capitale: il 17 aprile la premier Giorgia Meloni andrà a Washington per discutere di dazi con Trump, ma tornerà subito a Roma ad accogliere il vicepresidente Usa J.D. Vance in arrivo il 18.
Il numero due della Casa Bianca si tratterrà nella Città eterna fino al 20, domenica di Pasqua, incrociando - non è chiaro quanto da vicino - i colloqui di Witkoff. Sempre questa settimana, mercoledì 16 aprile, sarà il capo dell'Aiea Rafael Grossi a volare a Teheran per incontrare il ministro Araghchi e il capo dell'Organizzazione per l'Energia Atomica dell'Iran, Mohammad Eslami, nell'ambito della cooperazione e del monitoraggio degli impianti nucleari iraniani. E mentre molti Paesi della regione, dall'Egitto al Kuwait, dagli Emirati al Qatar, hanno accolto con favore i tentativi di Usa e Iran di arrivare a un nuovo accordo sul nucleare, Israele continua a premere per un'azione più incisiva che impedica alla Repubblica islamica di continuare ad armare i suoi affiliati e minacciare lo Stato ebraico.
Anche l'Ue ha deciso di mandare il proprio segnale varando nuove sanzioni, su proposta di Parigi, contro "nove persone ed entità iraniane responsabili della politica degli ostaggi di Stato". Compreso il direttore della prigione di Evin, Farzadi Hedayatollah, il famigerato carcere dei detenuti politici dove è stata imprigionata, tra gli altri, anche la giornalista Cecilia Sala.
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