Un'escalation inaudita persino per un teorico della democrazia illiberale come Viktor Orbán. L'emendamento numero 15, adottato dal Parlamento magiaro tra le proteste, stravolge la Legge fondamentale dell'Ungheria, imponendo una nuova stretta su libertà civili e diritti umani.
Una mossa annunciata dal leader sovranista nel marzo scorso quando, in un violento discorso pronunciato in occasione della festa nazionale ungherese, aveva promesso di "eliminare le cimici sopravvissute all'inverno con le pulizie di Pasqua": comunità arcobaleno, media indipendenti, giudici e dissidenti. Al cuore della modifica costituzionale, l'introduzione del primato del diritto dei bambini a un "corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale" sugli altri diritti fondamentali, eccetto il diritto alla vita.
"L'emendamento costituzionale dell'Ungheria - plaude Orban su X - è ora legge. Proteggiamo lo sviluppo dei bambini, affermiamo che una persona nasce maschio o femmina e ci opponiamo alle droghe e alle interferenze straniere. In Ungheria, il buon senso conta", ha affermato mentre migliaia di attivisti e sostenitori dei diritti scendevano in piazza per manifestare contro la legge vicino alla sede del parlamento. Praticamente è stato approvato un escamotage con cui si giustifica la restrizione della libertà di riunione pacifica, mettendo al bando di fatto le marce del Pride che l'Ungheria considera lesive dello sviluppo dei minori. E per tracciare e multare i partecipanti, Budapest acconsente all'uso del riconoscimento facciale, pratica vietata, con alcuni stringenti eccezioni, dal diritto europeo. Sulla falsariga della crociata di Donald Trump contro i transgender, l'Ungheria ha stabilito, a livello costituzionale, che "il sesso di una persona alla nascita è una caratteristica biologica e può essere maschile o femminile", eliminando così il riconoscimento legale per le persone trans e intersessuali.
Tra le modifiche più controverse, anche quella che prevede la sospensione della cittadinanza per gli ungheresi con doppia cittadinanza considerati "una minaccia alla sicurezza nazionale", misura che sembra cucita addosso al magnate ungaro-americano George Soros su cui sono fiorite numerose teorie del complotto. E Orbán non sembra intenzionato a fermarsi qui. Sordo alle minacce di Bruxelles, che tiene ancora in ostaggio circa 20 miliardi euro di fondi europei diretti all'Ungheria, il magiaro è deciso a varare una nuova stretta sulle Ong considerate "inaccettabili".
Una morsa che tradisce le crescenti difficoltà del premier, il cui partito Fidesz arranca vistosamente, ad appena un anno dalle elezioni, dietro Tisza, creatura politica dell'ex esponente di Fidesz e ora principale leader d'opposizione, Peter Magyar. Difficoltà che si proiettano all'esterno, con un'Ungheria sempre più isolata nel contesto europeo e per di più ignorata da Trump, il cavallo vincente su cui Orbán aveva, unico in Ue, puntato tutto. Ad oggi, senza trarne vantaggio.
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