(Di Giorgio Gosetti)
Prima di Gina Lollobrigida, prima di
Sophia Loren, al tempo dei concorsi di bellezza e di un'Italia
che la guerra non aveva piegata, l'astro di Silvana Pampanini -
morta questa mattina al Policlinico Gemelli di Roma dove era
ricoverata da metà ottobre - cominciò a risplendere e non fu una
stella cometa, ma una stella luminosa che attirò registi famosi,
attori di grido, principi e magnati in una ridda di successi
commerciali, applausi internazionali, flirt sempre annunciati e
sempre smentiti, compreso quello romantico di Totò, che per la
bellissima attrice provò un sentimento profondo e mai veramente
ricambiato.
Nata a Roma il 25 settembre del 1925, romana ma di famiglia
veneta, Silvana Pampanini doveva essere cantante nel segno di
una zia celebre, la soprano Rosetta. Diplomata all'istituto
magistrale e al Conservatorio di Santa Cecilia la ragazza aveva
una vera propensione al canto, tanto da aver tenacemente
conservato la sua voce in tutti i film in cui i suoi personaggi
cantavano, mentre tante brave doppiatrici si sostituirono sempre
a lei per darle voce nei film più celebri. Invece le cose
cambiarono in una sola notte quando la sua maestra di canto la
iscrisse a sua insaputa al primo concorso di Miss Italia, a
Stresa nel 1946. Sconfitta dalla giuria fu recuperata a furor di
popolo dal pubblico, tanto da obbligare gli organizzatori del
premio ad attribuirle un "ex aequo" che ne fece subito una
ragazza-copertina sui rotocalchi.
Il passo verso il mondo dorato della celluloide, amplificato
dai fotoromanzi e dalle prime indiscrezioni sentimentali fu
brevissimo tanto che nello stesso 1946 Silvana otteneva il primo
ruolo a Cinecittà: "L'apocalisse" di Giuseppe Scotese anche se
furono veterani della regia come Giacomo Gentilomo, Camillo
Mastrocinque, Guido Brignone a insegnarle le tecniche della
recitazione in un apprendistato rapidissimo e capace di portarla
al successo già due anni dopo. Il 1949 è l'anno de "I pompieri
di Viggiù" di Mario Mattoli in cui interpretava Fiamma, figlia
del capo dei pompieri Carlo Campanini. In un set di "tutte
stelle" in cui appariva anche la "regina" Wanda Osiris, la
bellezza prorompente dell'ex Miss Italia, dotata di una verve e
una naturalezza contagiosa (sposata al fisico mozzafiato), fece
subito la differenza. Sullo stesso set, in un diverso episodio,
c'è anche Totò che la vorrà con sé in "47 morto che parla" di
Bragaglia l'anno dopo. Ma nel frattempo i binari del successo
della nuova "divina" di un cinema popolare fatto di sorrisi,
sketch da rivista, parodie bonarie e sapori da neorealismo rosa,
sono già ben delineati ai suoi piedi. E' dello stesso anno
"Bellezze in bicicletta" di Carlo Campogalliani che la vede al
fianco di una scatenata Delia Scala nel ruolo di un'aspirante
ballerina che vorrebbe entrare nella compagnia di Totò.
La coppia composta dalla biondina-tutto-pepe e dalla mora con
pose da "femme fatale" funziona anche perché le due attrici
rivelano presto le loro anime candide anche nella ricerca della
fama ed il pubblico si commuove mentre il motivetto del titolo
diventa un tormentone in tutte le piazze d'Italia. Un passo
ancora e la sua popolarità varca i confini nazionali. Diretta da
Mario Soldati in una scatenata parodia dell'hollywoodiano "Quo
Vadis", la Pampanini veste la stola di Poppea duettando con Gino
Cerci in "O.K. Nerone" che si afferma su tutti i maggiori
esteri, e specie in Francia. Così diventa "Nini Pampan" e riceve
le prime proposte di coproduzioni fra Parigi, l'America del Sud,
perfino l'Egitto. Grazie all'abile guida del padre che ha
lasciato il lavoro per farle da agente, l'attrice non abbandona
però Cinecittà e anzi si afferma in un cinema più "serio"
grazie ad autori come Luigi Zampa ("Processo alla città"), Luigi
Comencini ("La tratta delle bianche"), Pietro Germi ("La
Presidentessa"), tutti del 1952. Un anno dopo è il maestro del
melodramma neorealista, Giuseppe De Santis a incoronarla come
icona del miglior cinema popolare in "Un marito per Anna
Zaccheo" e la rivorrà nel 1958 per "Una strada lunga un anno".
In mezzo c'è spazio per grandi trionfi come "Un giorno in
pretura" di Steno, "La bella di Roma" di Comencini, "Racconti
romani" di Gianni Franciolini. Lavora moltissimo all'estero
anche se molti dei suoi titoli del periodo di maggior fulgore
risultano oggi dispersi o dimenticati. Con il nuovo decennio è
invece fin troppo frettolosamente archiviata dal nostro cinema a
favore di nuove bellezze e di un cinema più smaliziato e adatto
ai tempi del boom. Sarà Dino Risi a tributarle un affettuoso
omaggio nel "Gaucho" del 1964 in cui le affida però il ruolo di
una diva sul viale del tramonto in un memorabile confronto con
Vittorio Gassman, affiancato da Amedeo Nazzari e Nino Manfredi.
L'attrice ha intanto trovato un nuovo pubblico alla tv, mezzo in
cui crede fin dalla nascita e che la vede protagonista fino alla
conduzione di "Mare contro mare" nel'65.
Poco dopo però la Gran Dama si ritira di fatto, vedendosi
come una nostrana Greta Garbo che Cinecittà non merita più. Per
due volte è stata regista (due corti del 1958), ha dato alle
stampa un'autobiografia piena di verve fin dal titolo
"Scandalosamente perbene", ha sempre mantenuto uno stretto
riserbo sulle sue vicende private celando perfino il nome del
grande amore che non avrebbe potuto sposarla a pochi mesi dal
fatidico "sì" perché stroncato da una grave malattia. Dotata di
una allegra autoironia come si vede bene nel "cammeo" regalato
ad Alberto Sordi ne "Il tassinaro" (1983) è sempre stata anche
una spiritosa polemista come quando si scagliò contro la
"presunta erede" Gina Lollobrigida, rea di essersi sposata con
un uomo molto più giovane, o come quando attaccò il sindaco di
Roma, Walter Veltroni per averla ignorata al tempo della Festa
del Cinema. Occhi da tigre, bocca di fragola, curve
"pericolose" e allegra sfrontatezza ne fecero un'icona: oggi
diventa un ricordo per un'Italia che non esiste più da tempo.
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