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di Daniela Giammusso
"L'ansia di essere 'uno che fa
ridere' è terribile. Perché poi, appena sei in un momento giù di
morale, la gente dice 'ah, e questo dovrebbe simpatico?'. Ecco
io non voglio avere questa ansia da prestazione. Parafrasando la
serie Boris, 'io voglio essere Gifuni'". Ascoltare Valerio
Lundini che si racconta è venire inondati da un fiume di parole,
citazioni, battute nascoste tra le parole, non sense surreali
quanto esilaranti, autoironia e sterzate improvvise. Un po' come
lo abbiamo conosciuto su Rai2 in Una pezza di Lundini, programma
ormai cult (anche sul web) condotto con Emanuela Fanelli. E come
è in teatro, in queste settimane, nel suo one man show Il
mansplaining spiegato a mia figlia" (prossime date, dal 31
maggio al 4 giugno al Franco Parenti di Milano, il 5 agli
Arcimboldi sempre a Milano e il 14 giugno alla Cavea
dell'Auditorium Paco della musica di Roma). Uno spettacolo che
gira da ormai tre stagioni e continua a registrare sold out.
"Farlo tante volte aiuta a miglioralo - racconta lui all'ANSA -
Il problema, semmai, sarà il nuovo spettacolo. Dovrei fare
decine di repliche di nascosto per farlo funzionare così bene,
ma come si fa?". Dal debutto a oggi, sono cambiate molte cose.
"A livello sociale, si: guerre, carestie, la pandemia. Ma di
quelle spero di non dovermi ritenere responsabile. Non ho tutto
questo potere - dice serio - Nello show, invece, ho tolto,
aggiunto. È una versione teatrale di quello che potrebbe
accadere in un concerto: un susseguirsi di situazioni, gag,
trovate, monologhi e anche un paio di canzoni. Sono varie
storie, legate fra loro da una follia surreale. Quest'estate
dovrei alcune date anche con I VazzaNikki, band con cui suoniamo
da 15 anni". Cresciuto a pane e Adriano Celentano in coppia con
Renato Pozzetto, ma anche Totò e Nino Manfredi, "è con Leslie
Neilsen e Una pallottola spuntata che alle elementari ho
scoperto quale era il tipo di comicità che amavo", racconta.
Lui, invece, al cinema ha preferito scegliere un ruolo diverso
accanto a Sergio Castellitto ne Il più bel secolo della mia
vita, film diretto da Alessandro Bardani. Una "commedia
agrodolce", distribuita nella prossima stagione da Lucky Red,
che in un viaggio Bassano Del Grappa-Roma porta sul grande
schermo la legge tutta italiana che impedisce ai figli non
riconosciuti di sapere l'identità dei genitori naturali se non
al compimento dei 100 anni. Proprio l'età di Castellitto nel
film. "Dopo quattro ore di trucco al giorno, non sembrava
neanche di recitare accanto a lui - racconta Lundini - Se fosse
stato un ruolo comico non so se avrei accettato. Non mi fido di
come fanno ridere le altre persone. La popolarità? Se davvero
l'ho raggiunta, ho avuto la fortuna che è accaduto quando ero
già grandicello. Oggi, purtroppo mi vivo le cose più strane. Una
volta mi è entrata un'ape in bocca mentre ero sul monopattino.
Ho cominciato a sputare per buttarla fuori e non mi sono accorto
che davanti a me c'era un signore che mi aveva riconosciuto e mi
fissava inorridito. Ecco, certe figuracce, un tempo, quando
nessuno mi conosceva, le avrei fatte più serenamente". Ma la tv?
"Tornerò, ma non è previsto con lo stesso programma - risponde -
Di tanti ospiti accolti nessuno mi ha detto mai di 'no'. Quando
mi è venuto in mente che sarebbe stato interessante avere
Roberto Saviano, lui è venuto. J-Ax, che mi aveva citato in una
sua canzone, mi ha risposto 'sicuro, che voglio venire'. Certo,
il Papa non è venuto, ma non gliel'ho mai neanche chiesto -
prosegue - Ho sempre pensato di fare una cosa che avremmo visto
in cinque, invece non era così. Ma ho preferito fermarmi, per
non cadere nella monotonia del 'già visto'. Meglio tornare con
qualcosa di diverso. E sto già scrivendo alcune cose".
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