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di Giorgio Gosetti
Con Giuliano Montaldo scompare uno
degli ultimi di quella grande generazione di registi che ha
fatto grande il cinema italiano a partire dagli anni Sessanta.
Si è spento con a fianco l'amatissima moglie, Vera Pescarolo, la
figlia Elisabetta e i suoi due nipoti Inti e Jana Carboni nella
sua casa a Roma che nel tempo era diventata casa per questo
genovese navigatore e spericolato, che ha sempre schivato
ritualità troppo solenni perché tra le sue moltissime doti c'era
l'arte dell'autoironia dispiegata da sempre a piene mani.
L'eterno ragazzo di Cinecittà nasce a Genova il 22 febbraio del
1930; fin da ragazzo ha l'occhio del navigatore come Colombo, la
voce di un Gino Paoli dai toni baritonali, la passione militante
del giovane Calvino partigiano, il piacere dello scherzo di
Paolo Villaggio e la leggerezza poetica di Lele Luzzati, tutti
liguri come lui, tutti un po' saggi e un po' matti come lui. A
guerra finita da un po', come tanti provinciali col sogno del
cinema, il ventenne Giuliano scende alla scoperta di Roma. È
alto, bello, dotato di magnetici occhi azzurri e modi eleganti
da conquistatore. Ma non è per questo che l'esordiente regista
Carlo Lizzani lo chiama al suo fianco nel 1951 per Achtung,
Banditi!. Il film sarà girato in Liguria, i soldi scarseggiano
(sarà prodotto in cooperativa col sostegno dei partigiani) e
serve un aiuto-regista pratico dei luoghi. Sul set sono
praticamente tutti alle prime armi e Montaldo si fa notare anche
come attore. Con Lizzani è amicizia vera e durerà tutta la vita:
nel film successivo Cronache di poveri amanti del '54 c'è ancora
una particina per lui ma intanto il ragazzo genovese si
impratichisce da regista rubando a tutti i segreti del mestiere:
per Gillo Pontecorvo (con cui divide la casa a Roma insieme a
Franco Giraldi e Callisto Cosulich) doppia perfino un cane nel
documentario Cani dietro le sbarre e poi canterà in russo per
doppiare un prigioniero nel lager di Kapo; Citto Maselli e
Luciano Emmer gli insegnano la tecnica, Elio Petri per cui
recita ne L'assassino del 1961 lo spinge a debuttare a sua volta
dietro la macchina da presa. Con Tiro al piccione dello stesso
anno, il cinema italiano scopre un nuovo talento ma basta il
soggetto scelto (l'amaro destino di un soldatino della
Repubblica Sociale negli ultimi giorni del fascismo) per capire
che Montaldo non ama le scelte facili. Infatti il film (come il
successivo Una bella grinta del '65) non gode dei favori della
critica di sinistra e anche all'interno del Pci Giuliano dovrà
difendersi da qualche processo sommario di troppo. Come del
resto dalle accuse di oltraggio al pudore che piovono sul
documentario Nudi per vivere sulla Parigi del sesso che firma
nel '63 insieme a Petri e Giulio Questi col bizzarro acronimo
Elio Montesti che i tre non sveleranno per molti anni. Testardo,
metodico, incoraggiato da colleghi che resteranno amici veri
tutta la vita (Lizzani e Pontecorvo sopra tutti) Montaldo
capisce che è attraverso un uso intelligente dei generi popolari
che può fare il "suo" cinema e che il vento internazionalista
degli anni '60 può assecondare il suo gusto dell'avventura e del
viaggio. Ecco allora thriller di buona fattura come Ad ogni
costo con Edward G.Robinson e Gli intoccabili con John
Cassavetes che gli conquistano la fiducia dei produttori.
Infatti il successivo Gott mit uns del 1970 ha ben altra
ambizione: ambientato al crepuscolo della Germania nazista, il
film dà l'avvio a una trilogia sulle aberrazioni del potere che
dopo l'esercito prenderà di mira la giustizia (Sacco e Vanzetti,
1971) e la chiesa (Giordano Bruno, 1973). Anche grazie alla
perfetta sintonia con Gian Maria Volontè che ne è memorabile
eroe, i due film sono grandi successi popolari, ma non
distolgono il regista dalla sua vocazione militante. Adesso
vuole recuperare la storia partigiana e il copione di Franco
Solinas per L'Agnese va a morire sembra perfetto per emozionare
il pubblico. Invece una serie di difficoltà produttive
costringono Montaldo a lavorare in economia, proprio come ai
tempi di Achtung, Banditi!. E come allora è la gente comune,
ieri i liguri adesso gli emiliani, a salvare le sorti del film
che grazie a una intensa e inattesa Ingrid Thulin non deluderà
le attese. Siamo alla fine degli anni '70 e anche per Montaldo
si aprono le porte della Rai e del cinema per la tv. Ma dopo la
bella sperimentazione di Circuito chiuso (1978) la nuova sfida è
il kolossal, la biografia di un viaggiatore che molto gli
assomiglia. Con sua moglie Vera, Giuliano fa le valigie e parte
per la Cina con Il Milione sottobraccio. Gli otto episodi del
suo Marco Polo (1982-1983) sono un fiore all'occhiello per la tv
e segnano la prima vera apertura della Cina comunista alle
troupes occidentali dopo i viaggi pionieristici di Carlo Lizzani
(1958) e Michelangelo Antonioni (1973). Negli anni successivi
sono ancora tante le avventure dell'eterno ragazzo del nostro
cinema: le battaglie politiche all'interno dell'Anac
(l'associazione degli autori), il cinema letterario ("Gli
occhiali d'oro", 1987 e "Tempo di uccidere", 1989), Il
documentario militante (fin da "L'addio a Berlinguer" del 1984),
le incursioni da attore (memorabile l'incontro con Nanni Moretti
ne "Il caimano", 2006), perfino la presidenza del David di
Donatello nel 2017. Ma per gli spettatori di oggi il volto e la
voce di Giuliano sono familiari come se si trattasse di uno zio
bonario. Merito di Francesco Bruni che lo ha voluto protagonista
di "Tutto quello che vuoi" del 2017 con si è conquistato un
David di Donatello. Con il ruolo del poeta Giorgio Gherarducci,
ha svelato la calda umanità che conoscono tutti quelli che lo
hanno incontrato negli anni, la passione per l'aneddoto cui
personaggio e interprete attingono a piene mani, lo sguardo
lontano e subito dopo lucido e ironico.
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