BRUXELLES - Nessuna quiete dopo la tempesta. La nuova stretta su libertà civili e diritti umani varata dall'Ungheria scuote un'Europa già esasperata dalla politica del muro contro muro eretta da Viktor Orbán. Troppe le linee rosse varcate da Budapest negli ultimi mesi tanto che inizia ad allargarsi il fronte di chi chiede di azionare "l'opzione nucleare" per sospendere i diritti di adesione dell'Ungheria all'Ue. La stessa Commissione europea ha dismesso i panni della prudenza, promettendo di "esaminare con molta attenzione" gli emendamenti alla Costituzione adottati dal Parlamento ungherese e di "agire se necessario".
Diversi gli aspetti da valutare, primo tra tutti l'asserito primato del diritto dei minori a un "corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale" sugli altri diritti fondamentali, tra cui la libertà di riunione pacifica. Di fatto, una messa al bando del divieto di organizzare e partecipare alle marce del Pride e ad altri eventi Lgbtqi+. Ma la crociata di Orbán si è spinta oltre, con il riconoscimento in Costituzione di due sessi, maschile e femminile, negando così sul piano giuridico altre identità di genere.
"Il tempo delle valutazioni e della prudenza è finito: si deve agire subito", ha commentato l'europarlamentare del Pd Alessandro Zan che annuncia di voler presentare un'interrogazione alla Commissione per "chiedere quali azioni concrete intenda intraprendere contro questa violazione inaudita". Dello stesso tenore, il collega di partito, Brando Benifei, che ha parlato di "grave violazione dei principi fondanti dell'Unione Europea, un attacco alla libertà" davanti al quale, ha detto, "non resteremo in silenzio".
Nei giorni scorsi, il commissario europeo alla Giustizia, Michel McGrath, aveva già messo in guardia il governo di Budapest, aprendo all'ipotesi di una procedura d'infrazione come già avvenuto con un altro provvedimento anti-Lgbt adottato dall'Ungheria che vieta la "promozione dell'omosessualità" ai minori. Bollata come "vergognosa" dalla presidente, Ursula von der Leyen, la legge è valsa a Budapest un deferimento alla Corte di Giustizia dell'Ue in una causa in cui sono parte anche 15 Stati membri. Si tratta della più grande procedura sulla violazione dei diritti umani mai portata davanti al Giudice europeo. Ma la cassetta degli attrezzi a disposizione dell'Ue è ampia.
E c'è chi suggerisce, come fatto da Madrid, di aumentare la pressione su Budapest con "multe economiche" o con il "blocco di certi fondi" europei. Finora Bruxelles ha disposto il congelamento di circa di 30 miliardi di euro di finanziamenti destinati all'Ungheria, inclusi i fondi del Pnrr che verranno a scadenza il prossimo anno. Di questi, meno di 20 restano nelle mani dell'Ue, mentre un miliardo è andato definitivamente perso nel dicembre 2024.
Finora però le azioni intraprese da Bruxelles non hanno sortito l'effetto sperato. Al contrario, Orbán ha inasprito il confronto non solo all'interno, ma anche sui tanti dossier su cui è chiamata a deliberare l'Ue, primo tra tutti il sostegno all'Ucraina e il suo percorso di adesione. Anche per questo motivo sta aumentando la pressione perché gli Stati membri avanzino nella procedura dell'articolo 7 del Trattato Ue, attivata nel 2018 dal Parlamento europeo e da allora rimasta in stallo.
Tra le sanzioni previste, anche la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio nel caso di una violazione grave dei valori fondamentali. "È tempo che gli altri governi dell'Ue procedano con la procedura dell'articolo 7", è stato il monito di Tineke Strik, capo delegazione della missione della commissione Libertà civili dell'Eurocamera in corso in questi giorni in Ungheria. "In questo periodo di profondi sconvolgimenti globali, l'Europa - ha avvertito - non può permettersi di indugiare mentre l'Ungheria si trasforma in una dittatura a tutti gli effetti".
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