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Carmen a Tijuana, nel mirino c'è Trump

Carmen a Tijuana, nel mirino c'è Trump

Apre la stagione di Caracalla il capolavoro di Georges Bizet

ROMA, 04 luglio 2017, 13:25

Emanuele Riccardi

ANSACheck

Opera Roma: Carmen a Tijuana, nel mirino c ' Trump - RIPRODUZIONE RISERVATA

Opera Roma: Carmen a Tijuana, nel mirino c ' Trump - RIPRODUZIONE RISERVATA
Opera Roma: Carmen a Tijuana, nel mirino c ' Trump - RIPRODUZIONE RISERVATA

 Da Siviglia a Tijuana. Dalle montagne dell'Andalusia al deserto dell'Arizona, del New Mexico o del Texas. Crociera transatlantica ma anche viaggio nel tempo per Carmen, Don José, la manifattura tabacchi e i contrabbandieri dell'opera di Georges Bizet nella versione della regista argentina Valentina Carrasco, frutto della 'cantera' dei catalani La Fura dels Baus.
    Ci troviamo a ridosso del muro che separa Tijuana da San Diego, il Messico dalla California. Il muro che il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha promesso di ampliare fino a coprire tutta la frontiera sud degli Usa, per arginare il flusso di immigrati clandestini, molti dei quali criminali e trafficanti di stupefacenti secondo il tycoon newyorchese. Sul muro uno degli slogan preferiti di The Donald: "America First".
    Davanti alle rovine di Caracalla, dove Carmen inaugura la stagione estiva all'aperto del teatro dell'Opera di Roma (repliche fino al 4 agosto), interrompono il muro gli uffici dei servizi dell'Immigration Usa, dove lavora Don José (un ottimo Roberto Aronico, dal timbro possente e sicuro). La manifattura tabacchi è proprio di fronte, in fondo alla piazza del mercato (dove imperversano anche giovani rapper), e lì vengono prodotte famose sigarette col marchio del cowboy, forse destinate anche al mercato degli Stati Uniti (facendo ovviamente infuriare Trump).
    L'osteria di Lillas Pastia, covo dei contrabbandieri, è un bordello di Tijuana, con le sue prostitute e le ballerine di lap dance. Le rovine monumentali delle Terme si trasformano in cartelli al neon per attirare i clienti. Rovine sule quali verranno poi proiettate le indicazioni per l'Interstate 15, che collega San Diego all'Alberta, in Canada, con accanto il tipico cactus del deserto. Alle autorità messicane la nuova produzione non è piaciuta per niente. L'ambasciata a Roma ha espresso "sorpresa ed indignazione" per quella che ha definito "una rappresentazione rozza e semplicistica del nostro paese e delle nostre tradizioni", presentando "una visione caricaturale" del Messico, appoggiandosi a "stereotipi che non rappresentano né i messicani né la loro cultura". Archiviato il 'club' di Tijuana, le rovine diventano l'unico palcoscenico, prima deserto e canyon con i contrabbandieri (che si spostano a bordo di un vecchio furgoncino Ape) e poi Plaza della corrida per il giorno del trionfo del torero e il dramma del femminicidio di Carmencita. Vengono ad un certo punto proiettati i ritratti presidenziali del monte Rushmore e quindi nell'atto finale le figure della 'Santa Muerte' (e non più anche quella della vergine di Guadalupe dopo le proteste dell'ambasciata del Messico). La 'fiesta' messicana cattolica e profana del 'Dia de Muertos' sancisce la gloria effimera del torero Escamillo (su un palco mobile accanto a un gigantesco toro dorato poi decapitato come una pignatta), che perderà l'amata per mano del gelosissimo sedotto e abbandonato Don José.
    Di Carmen, 'pendant' femminista e coraggiosa di Don Giovanni, il machista Don José non capisce ed accetta il bisogno e desiderio di libertà.
    Donald Trump. Non lo si vede mai, ma è sempre presente. Con il muro ovviamente, con il traffico di tabacco (ma si presume anche di droga e di clandestini) gestito dai contrabbandieri che si promette di combattere con il pugno di ferro. The Donald è nel mirino e lo si capisce quando Carmen trasforma in coriandoli una bandierina a stelle e strisce (ma l'ambasciata Usa non ha protestato). E quando, tra il primo e il secondo atto, un giornale radio in spagnolo parla del muro e smentisce la parole del presidente sui livelli di criminalità in Messico e sul traffico di droga (che riguarda in realtà tutti e due i paesi).
    La Carmen di Caracalla è molto piacevole. Vivace, diretta in maniera precisa da Jesus Lopez-Cobos, con accanto ad Aronico una brillante Veronica Simeoni. Belle e sorprendenti le scene di Sala Blak. E bella ovviamente la musica, ancora oggi forte, sensuale e attualissima. Le scelte di Carrasco forse convincono a metà. Il discorso femminista e sociale non fa una piega, come anche la conclusione "o libertà o morte". Ma Tijuana non è Siviglia.
   

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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