Se il merito di una fotografia è quello di incantare per interesse o bellezza resistendo al trascorrere del tempo - quando non si tratti di una testimonianza storica - il bacio scattato da Ugo Borsatti alla stazione ferroviaria di Trieste nel 1954 è allora tra le foto più longeve e dunque tra le più belle. È forse il lascito più emozionante del decano dei fotoreporter triestini, scomparso due notti fa all'età di 98 anni. Fu il fotografo che tra le migliaia di eventi di ogni tema, anche sportivi, raccolti nel ponderoso archivio di 350mila negativi, soprattutto raccontò il ricongiungimento di Trieste all'Italia.
Lanciato nell'arena della strada, come si usava fare all'epoca per cronisti e fotografi, Borsatti andò alla stazione per immortalare i soldati statunitensi che lasciavano Trieste: la città tornava all'Italia sancendo la fine della guerra, nove anni dopo rispetto al resto d'Italia. Non c'era un finestrino del treno che non fosse occupato da almeno un soldato, tutti a salutare e lanciare l'ultima occhiata alla città prima di rientrare in patria. James afferrò la sua Graziella e per baciarla la sollevò di peso, un metro da terra. Borsatti dal basso immortalò quel gesto che fu più energico, ardente e non resistibile del bacio scattato da Robert Doisneau all'Hotel de Ville. L'impressione che si ricava è di leggerezza, due persone unite soltanto dalle labbra mentre la giovane è sospesa nell'aria. Foto longeva: 40 anni dopo un militare americano sarebbe venuto a Trieste per cercare Borsatti e accertarsi che la coppia della foto fossero proprio James e Graziella, i suoi genitori. È di Borsatti anche un altro storico scatto: piazza Unità d'Italia gremita da migliaia di persone accalcate il 26 ottobre 1954 per festeggiare, appunto, il ritorno all'Italia. E poi c'è una testimonianza terribile: le foto scattate a raffica per raccontare i moti di piazza nel 1953 a Trieste. La Polizia Civile alle dipendenze del Governo Militare Alleato (Gma), comandato dal generale britannico Thomas Willoughby Winterton, fu spietata. Sparò sulla folla e inseguì i manifestanti perfino in chiesa, a Sant'Antonio Taumaturgo, pestandoli. Borsatti, al suo primo importante servizio come fotoreporter, immortalò tutto. Se la polizia non andava per il sottile, le stesse regole valevano per i fotografi, e il giovane Ugo sviluppò i negativi delle pupille vitree dei morti, l'agonia dell'adolescente sorpreso di essere stato ferito e portato a braccia dai compagni; il sangue, le botte.
Meritava di più quel servizio. Infatti divenne un libro prima e un documentario poi: "Una traccia indelebile. L'obiettivo di Ugo Borsatti sui fatti del 1953" girato da Diego Cenetiempo e presentato nel dicembre 2024. È stata una delle ultime apparizioni in pubblico di Borsatti. In sedia a rotelle e incespicando tra le sillabe spiegò: "Dovevo documentare. Era come una missione". Lo fece, utilizzando per prima una Voigtlander, poi, di volta in volta, una Leica, una Rollei, Hasselblad, Canon, Linhof -Technika. Una sua foto, "Morte di un carrettiere" del 1961, fu esposta al Moma Museum di New York nel 1964 in occasione di una mostra dedicata ai fotoreporter italiani. Il suo archivio storico, Foto Omnia, è stato dichiarato di interesse storico ed è vincolato dalla Soprintendenza.
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