(di Bianca Maria Manfredi)
Dopo tre anni di lavoro, apre il 28
marzo al Pac Padiglione di Arte contemporanea di Milano Body of
Evidence, la più grande monografica mai dedicata in Italia a
Sherin Neshat, artista e regista iraniana dal 1974 residente in
America, visibile fino all'8 giugno.
Body of Evidence significa letteralmente corpo del reato, o
anche prova, ed è questo corpo del reato - ovvero il corpo della
donna spesso stigmatizzato per ragioni politiche o religiose -
ad essere la lente attraverso cui racconta la realtà in un
pressoché costante bianco e nero che da un lato rende le
immagini senza tempo, dall'altro evita che il colore le renda in
qualche modo piacevoli.
"Guardare questa mostra è come guardare la mia vita" ha
commentato Neshat alla presentazione dell'esposizione che per la
prima volta include tutte le fotografie del ciclo Women of
Allah, Le donne di Allah, realizzato fra il 1993 e il 1997.
Donne con il velo, che in Iran sono costrette a portare dalla
Rivoluzione islamica, con tatuati brani di scrittrici iraniane
sulle poche parti del corpo che restano scoperte. Donne spesso
armate di pistole e fucili con cui difendono la rivoluzione che
le ha oppresse, in una dicotomia ricorrente nei suoi lavori.
È chiara in Fervor: video che accoglie i visitatori
all'ingresso della mostra che presenta uomini e donne divisi
durante un incontro pubblico in Iran. Diversa è la serie di The
Book of Kings del 2012, quindi dopo l'Onda verde di proteste
repressa nel 2009, che si basa sul Libro dei Re scritto intorno
all'anno Mille con immagini di giovani iraniani divisi in tre
gruppi: masse, patrioti e malvagi, anche in questo caso con
delle scritte, quelle di scrittori iraniani incarcerati.
È invece interamente dedicato all'America, quindi alla sua
nuova patria, 'Land of Dreams' video installazione del 2019 in
cui una donna iraniana-americana viaggia per il New Mexico
chiedendo alla gente di raccontare il proprio sogno più recente.
"Credevo che l'America fosse il luogo della diversità e ora il
mio pensiero è un po' cambiato". È critica, Shirin Neshat,
sull'amministrazione Trump, che cerca di zittire il movimento
pro Palestina "in modo rivoltante", con affinità al regime
iraniano e questo suo nuovo atteggiamento si vedrà nel prossimo
lavoro che presenterà, probabilmente a maggio, proprio a Milano.
Ma in generale "il mondo è nei guai" che si tratti di Stati
Uniti, Palestina, Israele, Italia o Iran. "Abbiamo tutti paura
della guerra, dei genocidi, del dolore" ed è per questo che non
vuole essere etichettata come "una artista iraniana o musulmana"
perché "i temi sono gli stessi dovunque" e c'è una "umanità
condivisa", una umanità condivisa che cerca di rappresentare nei
suoi lavori.
"Era giunto il momento di raccontare la sua evoluzione", ha
osservato Diego Sileo che ha curato la mostra insieme a Beatrice
Benedetti. "Milano vuole essere un luogo di dialogo e diritti"
ha aggiunto l'assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, felice di
questa esposizione "molto attesa" che sarà arricchita da due
eventi: il 28 marzo al Pac l'incontro fra Shirin Neshat e gli
studenti e il 31 al cinema Arlecchino la sua presentazione di
Land of Dreams, il film del 2021 che ha diretto con Shoja Azari.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA