La notizia della scomparsa del regista Bertrand Blier, a 86 anni nella sua casa parigina, non ha purtroppo colto di sorpresa la grande platea degli innamorati di cinema. Dopo l'insuccesso del suo ultimo lavoro, "Convoi exceptionnel" del 2019 rimasto ancora inedito per l'Italia, si era rinchiuso in un amareggiato silenzio e le sue condizioni di salute erano progressivamente peggiorate. Gli era vicina l'ultima moglie, Farida Rahouadj, che negli anni 2000 era anche diventata la sua interprete favorita come in precedenza era stata Anouk Grinberg, sua seconda sposa. Ma questo tramonto da "emarginato" nel cinema francese non poteva sorprendere un autore come lui che del sarcasmo, della critica sistematica a ogni convenzione, del piacere della battuta sconveniente aveva sempre fatto il suo vessillo, attirandosi per questo il favore del pubblico (sempre mutevole) e spesso la diffidenza della critica.
Bertrand Blier era figlio d'arte: nato a Boulogne-Billancourt nel dipartimento della Senna il 14 marzo 1939 era figlio di Bernard Blier, uno dei più celebri protagonisti del cinema europeo (in Italia amato tra gli altri da Mario Monicelli che lo volle in "Amici miei" o "Speriamo che sia femmina") fin dalla fine degli anni '30. Dal padre, Bertrand aveva ereditato l'amore per l'epoca d'oro del cinema parigino, in particolare per i lavori del grande sceneggiatore e regista Michel Audiard che considerava la fonte d'ispirazione per il tono popolare del suo lavoro e per l'attenzione ai relitti della terra: prostitute, chlochard, teppisti e ladri. Di Audiard aveva amato da subito anche il gusto di scandalizzare, andare controcorrente, mettere alla berlina le convenzioni borghesi. La sua visione del mondo e dell'arte è già programmatica quando nel 1963 debutta con il documentario "Hitler, connais pas": sono 11 interviste a ventenni delle più diverse estrazioni sociali sui temi generazionali: l'amore, il sesso, la politica, la storia. Ne esce un ritratto tra la farsa e l'accusa a una gioventù apatica e distratta, che per l'appunto non sa nemmeno chi sia il dittatore tedesco. Il film scandalizza, viene ritirato dal programma del festival di Cannes, vietato ai minori e oscurato dalla distribuzione. Ma il giovane Blier (lui stesso ha l'età degli intervistati) non si scoraggia, fa la gavetta come assistente nelle coproduzioni tra Italia e Francia (in particolare "Il giovane leone" di John Barry con Alberto Sordi nel '65) e non si vergogna di usare il celebre padre nel '67 per il suo debutto come regista: "Si j'étais un espion", un dramma tra psicologia e poliziesco che non ha l'effetto sperato. Sette anni dopo Blier si prende la rivincita con "I santissimi" in cui riunisce la sua coppia ideale d'interpreti: gli allora sconosciuti Patrick Dewaere e Gérard Depardieu al fianco di Miou Miou (futura moglie e poi vedova di Deware). Il film, una commedia nera a tinte erotiche e provocatorie, si rivela uno straordinario successo di pubblico e fa del terzetto le nuove stelle del cinema nazionale. Distribuito in tutto il mondo cementa anche l'amicizia tra il regista e Depardieu: i due lavoreranno insieme otto volte. Quattro anni dopo (in mezzo c'è la regia di "Calmos") Bertrand Blier si prende anche la rivincita sulla critica che aveva snobbato i suoi lavori precedenti: "Preparate i fazzoletti" (1978) ricompone il trio regista/protagonisti cui si aggiunge Carol Laure (poi compagna di Depardieu), trionfa al box office e vince l'Oscar per il miglior film straniero. Perfino i compassati "Cahiers du cinéma" si inchinano al talento anticonvenzionale e satirico del nuovo "autore".
Molti dei titoli successivi in una carriera composta da 18 gioielli della provocazione, magari altalenanti nella qualità ma sempre capaci di urticare la sensibilità comune, hanno avuto gloria in Italia: dal surreale thriller "Buffet freddo" alla profetica pochade sull'omosessualità "Lui portava i tacchi a spillo" (1986), da "Troppo bella per te" a "Un due tre stella" con cui fu in concorso a Venezia nel 1993 fino a "Mon homme" con cuj la sua musa Anouk Grinberg vince l'Orso d'oro alla Berlinale. L'ultima apparizione di Blier in Italia data al 2010 quando portò alle Giornate degli Autori "Le bruit des glaçons", un'altra feroce commedia in cui l'allora sconosciuto Jean Dujardin si trova un bel mattino in casa uno sconosciuto che gli dice di essere il suo cancro. Fin dal soggetto si coglie lo stile unico di un autore che non aveva paura neppure di dare volto e voce al male del secolo, trasformando una commedia surreale in una potente e amara riflessione sulla vita.
Quasi calvo fin da giovane, timido e occhialuto, pieno di vita ma inseguito dal pensiero della morte, feroce nella battuta e abilissimo costruttore di dialoghi paradossali e intinti nell'osservazione sociale, Bertrand Blier è una "voce contro" che da troppo era rimasta in silenzio. Da oggi parla solo con il ricordo di una generazione - la sua - nata prima del '68 e rimasta giovane e arrabbiata fino alla fine, come del resto per il suo sosia sullo schermo, l'irrefrenabile e politicamente scorretto Gérard Depardieu.
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