Applausi ai cantanti e al direttore
d'orchestra, consensi e buu alla regia. Ha in parte diviso il
pubblico la messa in scena ma non la bontà della scelta
dell'Opera di Roma di accostare nella stessa sera 'Il tabarro'
di Giacomo Puccini a 'Il Castello del principe Barbablu' di Béla
Bartók. Mettere insieme con la regia del tedesco Johannes Erath
gli atti unici di due autori tanto particolari ha offerto
l'occasione di confrontare vicende e mondi musicali diversi,
entrambi portati sul palcoscenico per la prima volta nel 1918,
il primo al Metropolitan di New York (e un mese dopo al Teatro
Costanzi) e l'altro al Teatro dell'Opera di Budapest.
Il progetto triennale voluto da Michele Mariotti, direttore
musicale della Fondazione capitolina, e realizzato in
collaborazione con il Festival di Torre del Lago per il
centenario nel 2024 della morte del compositore, è incentrato
appunto sulla scomposizione del tradizionale Trittico pucciniano
proponendo anche nelle prossime stagioni l'accoppiata con
capolavori del Novecento di altri autori. Nel 2023-2024 sarà la
volta di Gianni Schicchi e L'heure espagnole di Maurice Ravel e
nel 2024-2025 di Suor Angelica e Il prigioniero di Luigi
Dallapiccola.
Mariotti, salutato dal tributo finale, ha guidato saldamente
l'orchestra e i due cast di voci tra le pieghe del Puccini
verista, lontano dalle sue arie celebri, e il simbolismo del
compositore ungherese. Nella vicenda di gelosia e morte del
musicista di Lucca hanno spiccato il baritono Luca Salsi
(Michele), il soprano Maria Agresta (Giorgetta) e il tenore
americano Gregory Kunde (Luigi); il soprano ungherese Szilvia
Vörös e il basso russo Mikhail Petrenko si sono misurati con
grande efficacia nella trama psicologica di Bartók. "Sono tutti
bravissimi, ma si fa una gran fatica a lasciarsi coinvolgere" ha
detto il regista Marco Bellocchio all'ANSA nell'intervallo
riferendosi al Tabarro come al titolo più complesso del
Trittico.
Le repliche sono in programma l'8, 11, 16 e 18 aprile.
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