MICHAEL POLLAN, 'COTTO' (ADELPHI, pp. 306 - 28,00 euro - traduzione di Isabella Blum).
Giorni di festa, giorni di riunioni rituali, di menu particolari, di pranzi e cenoni molto ricchi e elaborati.
Potrebbero essere un momento per riflettere sul fatto che oggi, mentre impazzano i sughi pronti e pietanze precotte surgelate, mentre si mangia nei fast food e si spizzica a un'happy hour, mentre perfino il pranzo di Natale magari lo chiediamo pronto a un servizio catering, poi passiamo ore ad appassionarci a trasmissioni di cucina, leggiamo libri e articoli sui grandi chef e discutiamo di piatti dalle ricette complicatissime che non assaggeremo mai.
E' proprio questo contrasto tra pratica e teoria, il paradosso tra il modo di stare a tavola e in cucina e stare davanti alla tv, che ha spinto Michael Pollan a scrivere questo suo nuovo libro, semplicemente intitolato 'Cotto'.
Nella seconda metà della mia vita, dichiara, ho fatto una scoperta felice benché inaspettata, ho trovato la risposta a tanti interrogativi sul mio benessere personale e di chi mi sta vicino: cucinare. Oggi, che è considerato una voce estremamente autorevole in fatto di alimentazione e ha alle spalle un bestseller come 'Il dilemma dell'onnivoro', dice che cucinava già prima, ma in maniera elementare e senza avere coscienza di quel che faceva e del suo valore.
La preparazione del cibo, il suo essere cucinato, distingue gli esseri umani da tutte le altre creature della terra, grazie alla scoperta e all'utilizzo domestico del fuoco che ha permesso di dedicarsi meno alla caccia, meno a masticare duri cibi crudi, e quindi pensare ad altro. E' stato un salto evolutivo che ci ha fatti passare dallo stato di natura a quello di cultura, in senso antropologico, aggiornando e schematizzando la celebre formula di Claude Levi-Strauss, per il quale il processo di cottura, l'azione del fuoco su un corpo crudo, equivaleva alla creazione d'un corpo a mezza via tra il naturale e il culturale, quindi elemento mediatore tra cielo e terra, vita e morte.
Il tutto ha avuto tre tappe fondamentali, il fuoco appunto, quindi la pentola, e oggi il forno a microonde. Prima la cottura di animali interi o simili, magari collettiva e legata a riti sociali e religiosi; quindi il vasellame da fuoco che permette di cuocere anche farine, verdure, radici (e per Pollan anche liberarci del senso di colpa di chi, vivo, mangia un corpo morto) in un gruppo famigliare più ristretto; infine il forno a microonde che permette di non cucinare, ma di scongelare e riscaldare quel che l'industria del cibo propone già pronto, a esseri che hanno perso qualsiasi ritualità, sempre più soli e espressione di famiglie sfasciate e società senza orari, in cui si mangia quando e quel che capita, magari appunto stando davanti a un televisore a guardare MasterChef ("finiamo per nutrirci di rappresentazioni", sentenzia, senza coinvolgerci fisicamente in qualsivoglia preparazione). Pollan quindi si e ci reintroduce al mistero, al rito e al gioco della cucina, alle tecniche di base legate al fuoco, all'acqua, alla terra e all'aria, all'arrostire sulla fiamma (o sulla carbonella), al bollire in acqua e brasare, alla fermentazione (formaggi, birra ecc.) e alla panificazione (grazie all'aria sprigionata dalla lievitazione). Lo fa studiando lui per primo tutto quanto, informandosi, interrogando esperti, sperimentando e infine dandoci le ricette base che via via ha imparato, ch riunisce in una appendice che è parte del libro assolutamente da non sottovalutare. E il tutto è fatto raccontando in prima persona, come resoconto affabulatorio di scoperte e esperienze, concludendo che "può darsi che nel calcolo economico cucinare non sia sempre l'uso più efficiente del tempo di un cuoco amatoriale; tuttavia, nel calcolo dell'emozione umana, resta comunque un'attività magnifica.
Esiste forse una prassi meno egoista, un lavoro meno alienante, un tempo meno sprecato, di quello impiegato preparando qualcosa di delizioso e nutriente per le persone che amiamo?".
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