JAN BROKKEN, 'ANIME BALTICHE' (IPERBOREA, pp. 504 - 19,50 euro - traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo).
"Le tre repubbliche baltiche (Lettonia, Lituania, Estonia) sono state una sorta di tragico laboratorio in cui sono stati vissuti, concentrati e esaltati, tutti i drammatici fatti che hanno segnato il Novecento in Europa", come spiega Jan Brokken.
Si tratta, quindi, di un luogo in cui tutto prende un'assoluta evidenza, specie in questa ricostruzione per tessere diverse, in questo proporne la storia attraverso il romanzo delle esistenze di personaggi importanti e di persone normali. E parliamo di romanzo, perché si parla spesso di saggistica che si legge come un romanzo, ma mai questo è stato così vero, perché incentrato su una reale narrazione.
Le grandi figure sono quasi tutte vissute esuli, più o meno cancellando il passato delle proprie origini, come a voler dimenticare le ragioni spesso terribili che le hanno portate a dover partire, tra pogrom, invasione nazista e totalitarismo staliniano. Chi sapeva quindi che la filosofa Hannah Arendt, il regista Sergej Eisenstein, il musicista Gidon Kremer erano nati nei paesi baltici, se uno scrittore come Romain Gary, naturalizzato francese, già un sopravvissuto a sette anni e in fuga con la madre, era arrivato a cambiare il proprio nome lituano (Roman Kacew) e a dichiararsi pubblicamente russo di origini? Se il pittore Marck Rothko sembrava odiare la natura, i boschi tipici di dove era nato, tanto da voler passare la vita al centro di New York, ma senza che questo gli impedisse di lasciar per testamento ai figli Keith e Christopher l'impegno di restaurare e ricostruire la sinagoga del suo paese natale.
"E' da questo peregrinare, da questa diaspora dovuta a secoli di occupazioni e influenze storiche e culturali diverse, tedesche, russe, scandinave, che è nata l'anima baltica - racconta Brokken - l'identità di quest'angolo dell'Europa nordorientale, le cui città hanno cambiato profondamente popolazione cinque volte nell'arco di 100 anni (se in Lituania all'inizio c'erano un 70% di ebrei, oggi il rapporto è capovolto) e un'eventuale economia industriale, come quella che c'era in Lettonia, è andata distrutta. Un'anima baltica che, come spesso accade, è oggi più viva nelle comunità sparse nel mondo che in patria, dove i giovani continuano a cercar fortuna all'estero (in Lituania in 20 anni il 25% ), anche forti di un sistema d'istruzione di grande qualità".
Quel che più ha stupito e coinvolto lo scrittore è che, in tali situazioni di caos e dolore "le persone hanno resistito confidando nel futuro e coltivando la lingua e la cultura (la musica soprattutto). Quando ho cominciato a approfondire le mie ricerche, scoprendo storie molto tragiche, mi sono reso conto che tutte comunque erano improntate a una qualche speranza, a un non arrendersi, ancorandosi, mentre tutto andava perduto, alla rete di rapporti famigliari". Brokken invita tutti a leggere le pagine sul rapporto tra Hannah Arendt e la madre, "che in situazioni spesso disperate le insegnò a avere sempre coraggio, a essere orgogliosa delle proprie origini e a farsi forza per non perdere fiducia nella vita. Cose di cui molti genitori oggi non sono più capaci".
Brokken, scrittore e viaggiatore olandese di 65 anni, ha scritto altri libri simili, cominciando con l'Africa attraverso i suoi esploratori e i Caraibi, con le loro storie meravigliose, partendo dalla vita di un compositore sconosciuto, per arrivare a 'Nella casa del pianista', sempre tradotto da Iperborea quattro anni fa, sulla vita del musicista russo Youri Egorov, "perché nell'esistenza delle persone normali, artisti o meno, si capisce come un paese abbia trovato la forza per resistere, aver fede e pensare al futuro, anche quando, in ogni famiglia, c'è qualcuno che è sparito in un lager o in gulag". Ora invece, grazie a una famiglia estone che gli ha inviato le carte di un proprio avo che fu in stretta corrispondenza con Dostoevskij, sta ricostruendo quell'amicizia di metà Ottocento, negli anni in cui lo scrittore era confinato in Siberia.
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