Sebbene in contesti di grave crisi
economica si possa ritenere appropriata la scelta legislativa di
imporre regole di contenimento della spesa, non altrettanto si
può dire per l'obbligo di riversare al bilancio dello Stato i
risparmi così ottenuti, vanificando lo sforzo sostenuto dalle
Camere di commercio nel conseguire quei risparmi.
È quanto si legge nella sentenza n.210 depositata oggi
(redattore il giudice Angelo Buscema) con cui la Corte
costituzionale ha ritenuto irragionevole l'applicazione alle
Camere di commercio delle disposizioni sull'obbligo di riversare
al bilancio dello Stato i risparmi derivanti dalle regole di
contenimento della spesa, a fronte della loro particolare
autonomia finanziaria che preclude la possibilità di ottenere
finanziamenti adeguati da parte dello Stato e interventi di
ripianamento di eventuali deficit generati dalla gestione
amministrativa dei medesimi.
La Corte ha osservato che, a decorrere dall'anno 2017, l'entità
del diritto camerale che le imprese corrispondono alle Camere di
commercio è stata oggetto di riduzione da parte del legislatore
in maniera crescente fino ad arrivare al cinquanta per cento.
Tale riduzione, in aggiunta all'obbligo di riversare al bilancio
dello Stato i risparmi derivanti dalle norme di contenimento, ha
inciso in maniera progressivamente più gravosa sui bilanci delle
Camere di commercio rendendo, dal 2017 e fino al 2019, i
sacrifici imposti dalle disposizioni censurate non più
sostenibili e non compatibili con il dettato costituzionale.
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