Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, sotto impeachment, è ancora detenuto malgrado la Corte distrettuale centrale di Seul abbia annullato il provvedimento restrittivo. I suoi legali, in una nota rilanciata dalla Yonhap, hanno espresso soddisfazione per la decisione che, a loro dire, "conferma l'esistenza dello stato di diritto nel Paese", e hanno sollecitato la procura a dare "piena attuazione" alla decisione della corte. "La palla è ora nel loro campo", hanno aggiunto. Il problema è che la procura potrebbe presentare appello in base alla diversa interpretazione del calcolo di scadenza dei termini per le incriminazioni formali.
Gli avvocati del presidente, sospeso dalle sue funzioni a causa del procedimento di impeachment in corso ormai alle battute finali, avevano presentato la richiesta di annullamento dell'arresto a febbraio, sostenendo che la detenzione era illegale perché la pubblica accusa aveva atteso troppo a lungo per incriminarlo.
"È ragionevole concludere che l'atto di accusa sia stato presentato dopo la scadenza del periodo di detenzione dell'imputato - ha precisato un documento della Corte distrettuale centrale di Seul -. Per garantire la chiarezza procedurale ed eliminare ogni dubbio sulla legalità investigativa, sarebbe opportuno emettere una decisione di annullamento della detenzione".
Yoon, ex potente procuratore nazionale, ha gettato la Corea del Sud nel caos a dicembre con la sua breve e maldestra dichiarazione di legge marziale, inviando anche i soldati a presidiare il parlamento. È sotto processo per insurrezione (e abuso di potere), un reato non coperto dall'immunità presidenziale. Yoon, 64 anni, ha resistito all'arresto per due settimane in un teso braccio di ferro tra il suo team di sicurezza e gli investigatori nella sua residenza ufficiale a Seul, ma è stato alla fine preso in custodia il 15 gennaio e trattenuto in un centro di detenzione a Uiwang, a sud di Seul.
Tuttavia, il team legale del presidente ha osservato che la procura potrebbe anche impugnare il provvedimento della corte, chiedendo la prosecuzione degli arresti, ribadendo di non ritenere la dichiarazione di legge marziale come una insurrezione e di non vedere alcun rischio di distruzione delle prove. Il pool dei pubblici ministeri, invece, ha insistito sul fatto di valutare elevati le possibilità di inquinamento e distruzione delle prove dato che il presidente, una volta rilasciato, potrebbe incontrare con frequenza personaggi chiave e collaboratori coinvolti nella dichiazione di legge marziale.
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