BRUXELLES - Un matrimonio durato poco più di 40 anni, per la maggior parte contrassegnati da estenuanti trattative che hanno sempre avuto l'effetto di garantire alla Gran Bretagna trattamenti speciali e di ostacolare l'avanzamento del processo di integrazione europea anche in tempi non sospetti. Che sarebbe finita così, tra Londra e Bruxelles, il generale Charles De Gaulle l'aveva più o meno già previsto negli anni '60, quando la Francia pose il veto all'ingresso della Gran Bretagna sostenendo, tra l'altro, che Londra, in quanto quinta colonna degli Usa e in funzione della sua 'insularità', avrebbe sabotato dall'interno il progetto europeo puntando esclusivamente ai vantaggi del mercato unico.
Forse De Gaulle esagerava, ma ora la storia di questo tormentato rapporto e il divorzio sancito dal sì alla Brexit sembrano dargli ragione. Dopo l'adesione all'allora Cee all'inizio del 1973, i primi problemi seri arrivarono con Margaret Thatcher a Downing Street. Al grido di 'I want my money back' (voglio indietro i miei soldi) la Lady di ferro sbattè i pugni sul tavolo, durante un vertice europeo dell'84, fino a ottenere uno sconto 'personale' sul contributo Gb alle casse comunitarie che, solo nel 2015, ha consentito a Londra di risparmiare oltre 6 miliardi di euro.
Alla fine del '91, con John Major premier, arrivò poi a Maastricht l'opting out sulla moneta unica, ovvero l'esenzione dall'obbligo di adottare l'euro anche una volta che Londra fosse arrivata a rispettare i necessari parametri. Poi il 'no' detto al Fiscal Compact anti-crisi. Ma soprattutto, nel 2014, la Gran Bretagna si è chiamata fuori dall'Unione bancaria voluta per spezzare il circolo vizioso banche in crisi-Stati in crisi. E questo nonostante gli istituti inglesi e la piazza finanziaria di Londra svolgano le loro attività anche grazie alla possibilità di operare sui mercati continentali.
La scelta più legata al carattere insulare della Gran Bretagna è però forse quella di non aderire all'area Schengen per la libera circolazione delle persone. A cui è poi seguito, con il Trattato di Lisbona del 2007, l'opt out su tutte le decisioni in materia di giustizia e affari interni, che così automaticamente non si applicano alla Gran Bretagna salvo una sua esplicita adesione espressa di volta in volta. Senza dimenticare la mancata sottoscrizione della Carta Ue dei diritti fondamentali, strumento che avrebbe consentito alla Corte di giustizia Ue di pronunciarsi sulla legislazione del lavoro inglese.
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