Sono 567 gli operatori dell'informazione, dei quali 532 giornalisti, imprigionati attualmente nel mondo: è il dato che emerge dal Barometro di Reporter senza frontiere (Rsf).
In testa la Cina con 114 casi, seguita da Birmania (62) e Russia (52). Quarta la Bielorussia con 49 cronisti finiti dietro le sbarre, poi il Vietnam con 38, Israele, Iran e Azerbaigian tutti a quota 26. Numerose le giornaliste attualmente detenute nel mondo: sono 11 in Cina, 12 in Russia, 11 in Bielorussia e Azerbaigian, 8 in Birmania solo considerando i Paesi in testa alla classifica.
L'organizzazione non governativa e no profit con sede a Parigi, consulente dell'Onu, monitora, aggiorna e denuncia costantemente gli attacchi contro la libertà di informazione, inserendo nelle sue statistiche i casi documentati di morte o incarcerazione collegati all'attività giornalistica. E proprio ai giornalisti "incarcerati per aver cercato e raccontato la verità" ha rivolto oggi un pensiero Papa Leone XIV, durante l'incontro con i media di tutto il mondo, ribadendo la solidarietà della Chiesa e chiedendone "la liberazione".
Tra i primi dieci posti della classifica stilata da Reporter senza frontiere, troviamo la Siria con 21 casi di cronisti detenuti, poi l'Egitto con 20, l'Arabia Saudita con 19. Numeri a doppia cifra anche per Hong Kong (11 giornalisti imprigionati) e Tagikistan (10).
Nel Barometro di Rsf scorrono i nomi di freelance, direttori, redattori di carta stampata e media online, giornalisti investigativi, blogger, interpreti, documentaristi, attivisti per i diritti umani, rappresentanti di associazioni di scrittori.
Sono invece 55, sempre stando a Rsf, i giornalisti attualmente tenuti in ostaggio: 38 in Siria, 9 in Iraq, 4 in Yemen, 2 in Mali, 1 in Messico e 1 in Camerun.
Più in generale, nell'ultima Classifica della libertà di stampa nel mondo pubblicata lo scorso 2 maggio, l'Ong ha lanciato l'allarme su una "situazione globale difficile", con l'indice della libertà al minimo storico, chiusure massicce di media, un "inquietante peggioramento" negli Usa di Donald Trump e situazioni "problematiche", "difficili" o addirittura "molto gravi" in tre quarti dei 180 Paesi presi in esame.
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