"Ho fatto questo film grazie a un'intuizione, ovvero che il testo originale di Fassbinder fosse una sorta di cronaca su una delle sue appassionate storie d'amore. Insomma nel suo film Le Lacrime Amare di Petra von Kant, Fassbinder traspose la sua triste storia d'amore per l'attore Günther Kaufmann. Lui ne fece allora una storia d'amore lesbica tra una stilista e la sua modella, io ho invece reso Peter un regista che si innamora del suo attore e questo per meglio identificarmi con il personaggio". Così François Ozon alla 72/a edizione del Festival di Berlino ha presentato Peter von Kant che ora arriva in sala dal 18 maggio con Academy Two.
Si tratta insomma di una libera interpretazione del capolavoro del 1972 di Rainer Werner Fassbinder Die Bitteren Tränen der Petra von Kant, ma questa volta con un cast composto da Denise Ménochet, Isabelle Adjani, Khalil Gharbia, Hanna Schygulla e Stéfan Crépon.
Che succede nel film? Accade che il corpulento e sanguigno regista di successo (interpretato dal credibilissimo Ménochet) che vive nel suo appartamento con il suo filiforme (anche caratterialmente) assistente Karl, da lui maltrattato ogni secondo con vera passione, conosce ad un certo punto, grazie alla sua amica attrice Sidonie (Adjani), Amir (Gharbia) giovane molto bello e smart di cui subito si invaghisce. Gli propone così di fare l'attore pur di averlo tutto per sé, ma quando il ragazzo poi ha successo Amir (viene chiamato a un certo punto da Franco Zeffirelli) prende il volo.
Questa la storia nella sua essenza, ma il film di Fassbinder, pieno di sussulti e sospiri, tratteggia poi, in maniera melodrammatica e filosofica allo stesso tempo, le dinamiche della passione d'amore in una prospettiva di potere, di dialettica servo-padrone che Fassbinder aveva rubato ad Hegel.
Da qui le lunghe, melodrammatiche attese da parte di Peter di una telefonata del suo amato, le infinite richieste di avere conferma di essere ricambiati e le furie ad ogni delusione o rifiuto. Nel segno di quella filosofia fassbinderiana che credeva che l'amore fosse solo uno strumento di controllo dell'altro e, soprattutto, che "tutti gli uomini uccidono ciò che amano".
Cosa lega Ozon a Fassbinder? "È un regista che ha una visione del mondo che mi ha sempre affascinato. Nel film originale c'era una teatralità molto forte e io volevo invece ci fosse più empatia. Fassbinder, insomma, non è un regista amichevole come non lo sono i suoi stessi film. Volevo che lo spettatore provasse sentimenti diversi nei confronti di Peter: a volte spregevole, a volte commovente, a volte grottesco e accattivante".
Perché in fondo Fassbinder è poco amato dai tedeschi? "Forse per la sua violenza difficile da accettare, per le sue provocazioni e anche perché per certe cose è stato profetico.
Penso, ad esempio, alla forza dirompente del suo corto all'interno del film a più voci La Germania in Autunno, dove il regista tedesco si racconta nel suo appartamento con sua madre e la sua amante, costringendole a dare un'opinione sulla situazione nella società tedesca, sul terrorismo intrecciando intimo e politico".
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