(di Daniela Giammusso)
"Non ho niente da dire al di fuori
del mio lavoro di narratrice. Non possiedo opinioni
particolarmente acute su alcun argomento e il mondo per me
rimane un enigma. E' proprio questa, d'altronde, la ragione che
mi induce a volerlo esplorare. Vedo la letteratura come
un'esplorazione degli esseri, delle cose e dei casi". È insieme
una confessione e una dichiarazione d'amore all'Italia il
discorso-racconto che Yasmina Reza ha scritto per il Malaparte
2021, il riconoscimento letterario internazionale che la premia
- proprio nel giorno in cui il presidente di giuria Raffaele La
Capria compie 99 primavere - per la sua lunga produzione, sempre
a cavallo tra romanzo e teatro, da Il dio del massacro ad Arte,
l'ultimo Anne-Marie La beltà fino a Serge, che uscirà in Italia
i primi di marzo 2022, ancora per Adelphi.
Allure tutta parigina, ma origini iraniano-ungheresi, un
italiano fluentissimo grazie alle lunghe frequentazioni
veneziane (dove ha una casa), la scrittrice è arrivata a Capri
insieme al suo ex marito, il regista Didier Martiny, che su di
lei sta girando un documentario, regina dei tre giorni in cui il
Malaparte festeggia anche la decima edizione dalla sua
ripartenza. "Dieci anni fa, quando lo abbiamo ripreso in mano -
racconta all'ANSA la coordinatrice Gabriella Buontempo -
sentivamo la responsabilità e l'eredità lasciata da mia zia
Graziella Lonardi Buontempo e Alberto Moravia, che lo avevano
fondato nell'83. Oggi siamo fieri del percorso realizzato fin
qui. Nel dopo-pandemia, poi, si sente una gran voglia di tornare
alla cultura, di leggere, di incontrarsi". "Dieci anni sono un
bellissimo traguardo", aggiunge Michele Pontecorvo Ricciardi,
vicepresidente della Ferrarelle che da dieci anni è al fianco
del premio, in quest'edizione anche come presidente del Fai
Campania che ha dato il suo patrocinio morale. "Un altro segnale
importante di incentivo al territorio a puntare su progetti di
valore. Un territorio - prosegue - che deve vivere sempre di più
di cultura, sostenibilità e di un turismo che sia attento e
rispettoso verso un ecosistema piccolo, delicato e fragile come
quello dell'isola di Capri".
E la Reza, grande camminatrice quanto riservata (gioia e
dolore di fotografi e operatori), l'isola l'ha esplorata quasi
tutta. "Sono estremamente commossa e onorata di ricevere il
Premio Malaparte - racconta oggi alla platea della Certosa di
San Giacomo - Perché è un premio italiano e io con questo Paese
ho costruito un legame speciale. Perché porta il bel nome
inventato di uno scrittore molto romanzesco. E per l'illusione
di sentimi importante nel campo che ho scelto. Anche se è
un'illusione che dura un giorno soltanto. Rimpiango
profondamente l'assenza di Roberto Calasso", aggiunge ricordando
il suo storico editore italiano, scomparso a luglio. "In
settembre, quando mi sono stati recapitati i suoi due libri più
recenti, Bobi e Memè Scianca - dice - li ho aperti con l'assurda
speranza di leggere come sempre una breve dedica affettuosa. Non
c'era niente. Era la certificazione della morte. Gli sono
debitrice dell'onore di figurare tra gli scrittori
dell'Adelphi".
Poi, il suo "dono" al premio. "Tempo fa - racconta - ho
deciso di trascorrere qualche settimana all'anno a Venezia.
Cammino molto per la città e mi capita di scrivere brevi testi a
partire da un'impressione o da un minuscolo evento. Testi che
finiscono direttamente in un cassetto e di cui fino a oggi non
ho fatto mai niente". Come questa "piccola" storia di un primo
incontro, proprio tra le calli veneziane, con l'attore Bruno
Ganz. E poi di un altro, a distanza, quasi non vissuto, pochi
mesi prima della sua morte. O forse, chissà. Ci fermiamo qui,
svelarlo sarebbe un peccato. "Parto sempre da una scena, mai da
un tema. Due-tre pagine, se funzionano costruisco il resto",
aveva raccontato la Reza giusto ieri. E chissà che anche questa
storia, prima o poi, non prenda davvero "vita".
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