Non è manifestamente irragionevole,
né viola le indicazioni della legge delega, la scelta della
"riforma Cartabia" di mantenere la procedibilità d'ufficio del
sequestro di persona, quando sia commesso in danno del proprio
coniuge. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza
numero 9, con la quale è stata ritenuta non fondata una
questione sollevata dal Giudice per l'udienza preliminare del
Tribunale di Grosseto.
Il Gup doveva decidere della responsabilità di un uomo che aveva
aggredito la propria moglie, dalla quale si era separato di
fatto da qualche mese, e il nuovo compagno di lei. Secondo la
ricostruzione del pubblico ministero, l'imputato avrebbe puntato
una pistola contro di loro, costringendoli a entrare nella casa
del nuovo compagno. Qui avrebbe chiuso la porta alle proprie
spalle, minacciando entrambi di morte e colpendoli ripetutamente
alla testa con il proprio casco. Tanto la donna quanto il suo
compagno avevano successivamente rimesso la querela presentata
contro l'imputato, che aveva nel frattempo risarcito loro i
danni. Tuttavia, la remissione della querela non aveva prodotto
effetto, tra l'altro, rispetto al reato di sequestro di persona
commesso in danno della moglie dell'imputato. Mentre, infatti,
il decreto legislativo numero 150 del 2022 (la cosiddetta
riforma Cartabia) ha reso in via generale il sequestro di
persona procedibile a querela di parte, la procedibilità
d'ufficio è stata mantenuta in una serie di ipotesi aggravate,
tra cui quella che qui veniva in considerazione.
Il Gup di Grosseto aveva, allora, chiesto che questa
disciplina fosse dichiarata incostituzionale. Secondo il
giudice, le ragioni che hanno indotto il legislatore del 2022 a
subordinare la punibilità del sequestro di persona alla querela
della persona offesa - in particolare, l'intento di favorire una
conciliazione bonaria tra le parti - varrebbero a maggior
ragione nell'ipotesi in cui autore e vittima siano uniti in
matrimonio. Ciò anche a garanzia del valore dell'unità
familiare, riconosciuto dall'articolo 29 della Costituzione.
La Corte costituzionale non ha condiviso questa
prospettazione e ha sottolineato che il legislatore ha mantenuto
il regime di procedibilità d'ufficio di alcune ipotesi aggravate
di sequestro di persona in cui vi siano particolari esigenze di
tutela della vittima nel contesto di relazioni familiari.
Nell'ambito di queste relazioni esiste un concreto rischio che i
soggetti più vulnerabili siano esposti a pressioni indebite,
affinché non presentino querela o la rimettano. Proprio per tale
ragione, la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle
donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013,
vieta agli Stati che ne sono parte di subordinare alla querela
della parte i procedimenti penali per i reati di violenza fisica
contro questa tipologia di persone offese, e stabilisce che il
processo penale debba continuare anche quando la vittima ritiri
la propria denuncia.
L'interesse alla conservazione dell'unità del nucleo
familiare - ha concluso la Corte - non può prevalere rispetto
alla necessità di tutelare i diritti fondamentali delle singole
persone che ne fanno parte.
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