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Piccolomini, la storia del bandito duca

Piccolomini, la storia del bandito duca

Lo scandalo del potere di Paola Benadusi Marzocca

ROMA, 07 marzo 2017, 18:27

Redazione ANSA

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Mai come alla fine del Cinquecento il fenomeno del banditismo assunse proporzioni così imponenti da spaventare il Papato, la Spagna e il Granducato di Toscana e da divenire strumento di ricatto nella politica internazionale. Uno dei banditi più noti di quell'epoca fu il duca di Montemarciano Alfonso Piccolomini. Paola Benadusi Marzocca, laureata in filosofia, pubblicista, specializzata in letteratura per ragazzi, traccia la sua biografia nel libro Lo scandalo del potere (edito da Tau Editrice, 125 pp., 12 euro).
    "Su questo turbolento e affascinante personaggio che finì giustiziato a Firenze per ordine del granduca Ferdinando I dei Medici - spiega l'autrice -, ho compiuto una vasta ricerca su fonti documentarie inedite, da cui a suo tempo trassi un breve saggio pubblicato sulla rivista 'Ricerche Storiche' intitolato 'Alfonso Piccolomini, duca e bandito del secolo XVI'". In quel tempo una sorta di rivoluzione parallela allo smantellamento della società di stampo medioevale si manifestava nelle sedi del potere. L'aristocrazia prendeva il posto dei cavalieri e degli ecclesiastici che avevano dominato per secoli, ma la politica accentratrice dei pontefici, che si accentuò sotto il pontificato di Gregorio XIII, inevitabilmente avrebbe determinato un nuovo sistema sociale, nel quale i feudatari avrebbero perso molte delle loro prerogative. Così in quest'epoca di mutamenti tra i banditi non c'erano soltanto contadini, braccianti, delinquenti comuni, per i quali il banditismo si presentava come l'unica alternativa alla sopravvivenza, ma anche esponenti della classe feudale in rivolta contro l'autorità sempre più pressante dei papi. Il più temibile bandito dello Stato Pontificio e dell'intera Italia fu appunto un nobile, il duca di Montemarciano Alfonso Piccolomini, discendente di papa Pio II Piccolomini. Nella sua breve esistenza difese strenuamente le sue prerogative cosicché a ragione si può considerare una sorta di "ultimo feudatario" di un mondo destinato a scomparire sotto l'avanzata dell'accentramento dell'autorità statale.
   

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