KATJA PETROWSKAJA, FORSE ESTHER (Adelphi, pp.
241, 12 euro) Un intenso e doloroso viaggio a ritroso nella storia del Novecento, un'occasione per riflettere su quello che ha rappresentato la Shoah a livello individuale, per chi l'ha subita sulla propria pelle, ma anche collettivo: torna in libreria "Forse Esther", il volume di Katja Petrowskaja, edito da Adelphi con la traduzione di Ada Vigliani.
Nel libro, vincitore del Premio Strega Europeo 2015,
l'autrice ricostruisce l'albero genealogico della sua famiglia,
dispersa fra Polonia, Russia e Austria, nella quale si
intrecciano culture e lingue diverse - yiddish, polacco,
ucraino, ebraico, russo, tedesco.
In questo cammino nella storia della sua famiglia, ma anche
dell'Europa del secolo scorso, tanti sono i personaggi
indimenticabili che prendono vita sulla pagina, dalla babuska
Rosa, incantevole logopedista di Varsavia, che salvò duecento
bambini sopravvissuti all'assedio di Leningrado, al nonno
ucraino, prigioniero di guerra a Mauthausen e riemerso da un
gulag dopo decenni; dal prozio Judas Stern, che sparò a un
diplomatico tedesco nella Mosca del 1932, al fratello Semén, il
rivoluzionario di Odessa, che passando ai bolscevichi cambiò in
Petrovskij un cognome troppo ebraico.
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