(di Elisabetta Stefanelli)
In un mondo che va incontro al
dominio della finzione una serie a volte può essere più efficace
della realtà. Lo ha dimostrato il caso di 'Adolescence', la
serie Netflix che raccontava la storia del tredicenne Jamie
Miller, arrestato con l'accusa di aver ucciso una compagna di
scuola. La geniale intuizione dell'autore, Stephen Graham, che
interpreta anche il padre, e l'ha scritta con Jack Thorne, è
stata quella di dare carne ed ossa ad un problema che qui arriva
alle estreme conseguenze. Certo un contributo importante l'ha
dato la regia di Philip Barantini, che ha girato tutti gli
episodi in piano sequenza, e degli interpreti, a cominciare
dallo straordinario protagonista Owen Cooper. Ma il nodo di cui
si sta dibattendo da mesi è quello dell'universo parallelo,
sconosciuto ai genitori, in cui vivono oggi gli adolescenti nati
digitali e immersi nei codici social.
I genitori che hanno in casa un adolescente hanno scoperto
qualcosa su di lui o lei vedendo questa serie, che non a caso
monopolizza il dibattito sui media da quando è uscita. Eppure
quello che meraviglia è che sono anni che le ricerche degli
psicologi, dei medici, dei pedagogisti, e persino le attività di
molti protagonisti dello showbiz, cercano di catalizzare
l'attenzione sul disagio giovanile che ha raggiunto percentuali
mai sfiorate prima. Ci voleva insomma una serie per scoprire i
problemi dei propri figli. Ora qualcosa di molto simile sta
accadendo con 'Da rockstar ad assassino: il caso Cantat'. Qui si
tratta di una docu-serie, quindi non parliamo propriamente di
fiction quanto di un vero caso di cronaca, ma il meccanismo di
disvelamento delle tre puntate è altrettanto sorprendente. Parte
del resto dal racconto di una giornalista, Anne-Sophie Jahn ,che
seguì in prima persona come inviata il caso, e che fa da voce
narrante in una sorta di autoanalisi, che è poi quella che
dovrebbe fare tutto il sistema dei media.
È l'estate del 2003 quando la Francia, ma non solo, assiste
all'arresto in diretta di Bertrand Cantat, fascinosa quanto
carismatica star del rock francese e frontman della
popolarissima band Noir Désir, in seguito a una violenta lite
con la sua compagna, l'altrettanto affascinante attrice Marie
Trintignant, che lui lascia in fin di vita e che morirà dopo
pochi giorni, il primo agosto. Il fatto è che tutta la
narrazione di quell'evento, che fu di portata mondiale, come
racconta la stessa Jahn, fu segnata in modo inequivocabile che
una serie di pregiudizi che, visti ora, solo 20 anni dopo,
sembrano a dir poco medievali. A poco servì la battaglia della
famiglia Trintignant, e della coraggiosa amica di Marie, la
cantante e attrice Lio, che cercò unica e sola di riportare
tutti all'evidenza dei fatti a costo anche della propria
carriera.
Cantat, che aveva commesso un violento femminicidio uccidendo
di botte Marie Trintignant, l'aveva abbandonata per ore in coma
e aveva mentito, fu liberato dopo appena quattro anni in libertà
vigilata - "tanto vale la vita di una donna", commenta Lio - tra
il delirio collettivo di fan e ovviamente il giubilo dei
compagni di band e della casa discografica. Ma la storia non
finisce qui, perché in questa colossale quanto patriarcale
rimozione, Cantat fu mandato ai domiciliari a casa della ex
moglie, Kristina Rady, madre dei suoi tre figli, che nel gennaio
del 2010 fu trovata misteriosamente morta suicida a pochi metri
dal cantante che dormiva beato. Non fu mai aperta un'inchiesta,
nonostante un'altra giornalista, Michelle Fines, dimostrò con
un'inchiesta e vari testimoni anonimi che Cantat era da sempre
un violento e aveva aggredito l'ex moglie in altre occasioni.
Kristina, poco tempo prima del tragico epilogo, aveva lasciato
un messaggio disperato ai genitori ungheresi denunciando il
clima terribile in cui era costretta a vivere.
Insomma una rimozione collettiva che ora la docu-serie
riporta alla luce scatenando il dibattito in Francia, mentre il
mondo ha fatto decisivi passi avanti in difesa delle donne e
contro la violenza. Uno dei nodi centrali che vengono messi in
luce è proprio quello della narrazione mediatica, come
sottolinea più volte Richard Kolinka, ex partner di Marie
Trintignant e padre di uno dei suoi quattro figli rimasti senza
madre dopo questa tragica fine.
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